Durante la pandemia ho girato molto, in solitaria e senza meta, a piedi o in bicicletta, il quartiere in cui sono nata e cresciuta. E mi sono ricordata del mio legame con questo pezzo di Milano: ecco i luoghi della mia e della sua anima.
Per mia madre, fiera abitante del quartiere Ticinese da più di 60 anni, qualunque porzione della città che si trovi a più un quarto d’ora a piedi da piazza XXIV maggio rientra di default nella categoria “a casa di Dio”.
Io non sono così dura e pura: nel corso degli anni ci sono stati diversi posti che ho chiamato “il mio quartiere” – il West End di Glasgow, il XX arrondissement di Parigi e persino via Paolo Sarpi (cambiare zona a Milano, per un milanese, è un’esperienza straniante che viene vissuta con la stessa intensità di un trasloco internazionale).
Alla fine, però, il mio vero luogo dell’anima è questo lembo di città un po’ dimesso in cui vivo ora, all’ombra della Bocconi che avanza e ingloba la fu-mitica Centrale del Latte di Milano, fino a lambire, ormai, addirittura la circonvallazione esterna, con il sempiterno odore di trota che sale dalla Conchetta del Naviglio.
I bocconiani (e Carlo Cracco) non sono gli unici a essersi accorti che c’è vita oltre la 90/91: tra i vari acronimi della Milano post-Expo si è da poco aggiunto anche “NaPa”, a indicare quel pezzo di Naviglio Pavese che parte da viale Tibaldi e si spinge verso sud, incrociando la sopraelevata che conduce all’autostrada A7. Per il momento, tra le insegne degli hotel a 2 stelle, i palazzoni anni ’60, i lunghi cortili mezzi abbandonati e i ponti di ferro dipinti di giallo fluo, a me più che un place to be continua a ricordare Neukölln prima della chiusura dell’aeroporto di Tempelhof. Per fortuna.
La gentrificazione incombe, tanto lenta da farsi desiderare quanto inesorabile come una minaccia. In questa guida se ne troveranno delle tracce, con alcune incursioni in luoghi che nel 2010 avremmo definito “hipster”, in mezzo a molti “posti sinceri” che dureranno per chissà quanto ancora.
Bere
Cantina Urbana
All’interno di un edificio ex industriale, che con la sua facciata colorata domina il tratto di Naviglio Pavese tra la circonvallazione e il cavalcavia, ha aperto qualche anno fa la prima cantina di produzione di vini dentro i confini cittadini. Concetto, atmosfera ed estetica sono ispirati ai birrifici artigianali americani. Oltre a comprarlo, sfuso o in bottiglia, il vino qui lo si beve, easy e gradevole, accompagnato da taglieri di salumi e formaggi (nota per gli estimatori: hanno il vero salame di Varzi).
Via Ascanio Sforza, 87
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Due vetrine su strada, una scritta rosa al neon, l’insegna del telefono a gettoni. Interno immutato almeno dai primi anni ’80: TV accesa, giocatori di carte (probabilmente gli stessi dal primo giorno di apertura), echi di mala milanese e bassa padana. Superato il bancone, si esce su un enorme cortile interno fitto di tavoli e sedie di plastica, su cui si affacciano le ringhiere, ancora non “ripulite”, di via Torricelli. Panini (buoni) e birrette, Negroni assassini e pop corn. Menzione speciale per i suoi bagni lisergici.
Via Evangelista Torricelli, 5
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Tipota
Istituzione del quartiere, epitome perfetta del concetto americano di “dive bar”. Se non fosse per la data sulla lapide commemorativa dedicata a Dax, tutto qui farebbe credere nell’esistenza di un tunnel spazio-temporale in comunicazione diretta con il 1994: non solo per la déco e la colonna sonora, ma anche, incredibilmente, per la fisionomia e l’abbigliamento degli avventori.
Via Francesco Brioschi, 32
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Bar Tabacchi La Darsena da Peppuccio
Dal 2015, la Darsena è diventata principalmente un crogiolo di studenti fuorisede che si nutrono di trapizzini e altri neologismi culinari reperibili nell’infilata di locali tutti uguali della vicina via Vigevano. Chi oggi ha tra i 30 e i 40 anni si ricorda del lungo periodo in cui è stata uno scempio abbandonato in seguito agli scavi per un parcheggio sotterraneo mai realizzato, dopo l’epoca ormai lontanissima della fiera di Senigallia lungo viale D’Annunzio al sabato pomeriggio. Entrando da Peppuccio si torna ancora più indietro nel tempo, a rivivere l’era in cui la Darsena era il porto di Milano: voci alte, luci basse, musica jazz a palla, amari generosi e i lecca lecca di marca “Circus Lolly”, che ogni tanto trovavo in fondo alle borse e nelle tasche dei cappotti (scrivo al passato, perché una serata qui non la reggo più). In situazioni particolarmente cariche, sono certa che si intraveda ancora la sagoma del Corbetta, l’ultimo eroe dei Navigli.
Via Vigevano, 1
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Enoteca Naturale
Qui siamo a due passi dal casino della Darsena, ma pare un altro mondo: al piano terra di Casa Emergency, nell’edificio che un tempo ospitava una scuola media, tra luci calde e arredi curati campeggia la scritta “Bere vino è giusto”. Si esegue più che volentieri, tirando tardi sotto gli alberi dello splendido dehors affacciato sulla basilica di Sant’Eustorgio. Alla mescita, vini naturali (ça va sans dire), spesso di piccoli produttori, che si possono accompagnare con mini piatti ricercati. Ha tutte le carte in regola per entrare nei radar dei sedicenti creatori di hype, quindi sbrigatevi!
Via Santa Croce, 19/A
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Mangiare
Osteria Grand Hotel
Se, come me, non amate troppo questo secolo e l’idea che ogni giorno che passa vi allontana sempre di più dal Novecento vi getta nello sconforto, questo è il posto per voi. Per intenderci, io ci ho fatto il pranzo del mio matrimonio. Inoltrandosi in un vicolo tra case scrostate e una vecchia fabbrica di bomboniere, compaiono nell’ordine: un’insegna che forse è un sogno di Francesco Vezzoli; un pergolato con un glicine secolare; due campi da bocce ancora in uso. Tutto, qui, racconta di un pezzo di Milano che si difende con forza dal progresso a tutti i costi, conservando un’atmosfera sospesa ed elegante. La cucina propone piatti della tradizione milanese e lombarda, con grande attenzione alle materie prime (è un presidio Slow Food), accompagnati da una carta dei vini con più di 700 etichette. Questo posto mi spacca il cuore.
Via Ascanio Sforza, 75
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Nebbia
Sulle ceneri dell’Angelo Nero, l’improponibile locale anni ’90/’00 che tutti vorremmo aver rimosso (ma è un’impresa impossibile), da un paio d’anni ha aperto Nebbia. Nel frattempo, l’incrocio tra le vie Torricelli e Brunacci si è tramutato in una piazzetta tranquilla che, tra le aiuole nuove di zecca, l’edificio ultracentenario della scuola elementare e il “drago verde”, è la cornice perfetta per il dehors minimal e curato di questo nuovo ristorante di quartiere. L’approccio alla cucina è contemporaneo, ma ogni piatto è una dichiarazione di appartenenza: Nebbia, sin dal nome, è talmente identitario da farsi amare anche dai nostalgici, meritando il suo posto d’onore nella via Torricelli della vecchia guardia.
Via Evangelista Torricelli, 15
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Coke
Ottima pizza bassa e croccante, in un locale spartano con un dehors affacciato sul doppio filare di pioppi di via Pavia, appena al riparo dai peggiori bar del Naviglio Pavese e dal tram che sfreccia su Corso San Gottardo. Clientela a tratti inquietante.
Via Pavia, 10
La Cantinetta
Ci spostiamo un po’ verso est, superando la città-stato della Bocconi e spingendoci fino all’inizio di via Ripamonti. Siamo al confine con la zona della Fondazione Prada, dove la gentrificazione corre veloce, ma risparmia questa trattoria un po’ rude, da sempre uguale a se stessa così come la sua mirabolante tagliata di carne. Qui si viene per mangiare quella.
Via Giuseppe Ripamonti, 19
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Erba Brusca
Arrivateci in bicicletta, costeggiando il Naviglio: il bello di Milano Sud è che, a un certo punto, finisce. All’Erba Brusca, che ha preso il posto della gloriosa Osteria del Tubetto 10 anni fa, si respira un’aria di confine tra campagna e città. La dimensione rurale prevale nell’estetica e nella proposta di piatti raffinati a base di prodotti locali, di cui molti provenienti dall’orto proprio accanto al ristorante. Bello a cena ma ancor più a pranzo, in una domenica di primavera.
Alzaia Naviglio Pavese, 286
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Grassi superflui
Gattullo
Pasticceria storica, aperta dal 1961 ma che pare dimenticata qui dagli austriaci a metà Ottocento. Presenza di sciure e cani di piccola taglia assicurata. Se non possedete una pelliccia di visone e un attico in viale Beatrice D’Este potreste sentirvi fuori luogo. Sfoglie al mirtillo insuperabili.
Piazzale di Porta Lodovica, 2
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Pasticceria Caravaggio
In corrispondenza di Largo Mahler, dove c’è l’Auditorium, Corso San Gottardo diventa via Meda e cambia completamente volto. Questa piccola pasticceria a gestione familiare passerebbe quasi inosservata nella confusione a ridosso della circonvallazione, se non fosse per le pazzesche torte con soggetto – su tutte, quelle con i segni zodiacali – esposte in vetrina. Quella al pistacchio (il cui soggetto è la parola “pistacchio” scritta con il cioccolato) è incredibile.
Via Giuseppe Meda, 14
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Gelateria Orsi dal 1936
Diciamolo: il gelato non è più un granché. Ma arrivati a questo punto, avrete capito che mi piacciono i posti datati e un po’ decadenti e ammetto che Orsi è qui per becero sentimentalismo: perché ci venivo da bambina e perché il suo dehors sembra quello di un oratorio di paese fotografato da Luigi Ghirri. Prendetevi un toast e un tè freddo e portatevi da leggere/scrivere.
Via Evangelista Torricelli, 19
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Forneria Cabrera
Insegna verde acido, piuttosto anonima, all’angolo tra via Brioschi e la circonvallazione, le vetrine seminascoste da un muro di auto perennemente incolonnate: a questo panificio non dareste due lire. Ma la focaccia genovese, intrisa d’olio, è da urlo. Sarà che Milano Sud è più vicina al mare.
Viale Tibaldi, 38
Cultura
Still
Una realtà fondamentale per chi ama la fotografia come forma d’arte: Still, attiva in quartiere dal 2014 e da due anni nella nuova sede di via Zamenhof, promuove il linguaggio fotografico in ogni sua declinazione. Ricerca, approfondimento, competenza e passione sono il cuore delle attività di questa galleria, che propone mostre, workshop, masterclass, consulenze legate al mondo del collezionismo, vendita di libri e di cataloghi. Al momento ospita la mostra “Fotografare l’arte” e presto inaugurerà un’imperdibile retrospettiva dedicata a Ferdinando Scianna, con più di 70 scatti.
Via Ludovico Lazzaro Zamenhof, 11
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Lapsus
Cinque anni fa ha aperto in via Meda questo mini-caffè-libreria che è il luogo di relazione di cui questo pezzo di quartiere aveva bisogno: il suo piccolo dehors è sempre pieno di una clientela eterogenea che qui, oltre che a sfogliare i libri, viene a fare colazione, a lavorare, a guardar passare i tram.
Via Giuseppe Meda, 38
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Passeggiate esistenziali
Parco agricolo del Ticinello
La città che diventa campagna. Così, de botto, senza senso. Niente auto nelle vicinanze, al limite qualche trattore. Se vi concentrate, potete sentire il rumore della corrente elettrica che passa nei fili sostenuti dai tralicci e che arriva dalla vicina Ricevitrice Sud (sì, è quella degli scatti di Gabriele Basilico e se se siete dei nerd della fotografia di architettura consiglio una breve deviazione). All’ingresso del parco c’è la Cascina Campazzo, che non organizza corsi di yoga o workshop di kintsugi, ma è una vera azienda agricola, con vere mucche, che vende vero latte, il tutto a 300 metri dalla fermata del metrò. Se vi spingete verso sud raggiungerete il ristorante Al Garghet, dove potrete rifocillarvi con un’enorme cotoletta che non riuscirete a finire, in un giardino che pare quello di una tearoom inglese. Poi, però, dovete tornare indietro a piedi.
Via Marcello Dudovich, 10
Pista ciclabile del Naviglio Pavese
Ovvero: quella volta che sono uscita di casa in bicicletta e in poco più di un’ora mi sono ritrovata ad accarezzare un gatto, imbambolata davanti alla facciata della Certosa di Pavia. Pedalando per 33 chilometri, pianeggianti e in rettilineo, si superano la spaventosa torre Telecom che incombe su Rozzangeles, un paio di reperti di archeologia industriale e una serie di non-luoghi stradali. Entrando in provincia di Pavia, il paesaggio cambia: file ordinate di alberi, risaie, aironi e, soprattutto, davvero un sacco di nutrie. Sempre dritto fino al Ponte Coperto, il tutto con il Naviglio accanto come fedele compagno. Volendo, si può tornare in treno.
Si parte dalla Darsena, lungo l’Alzaia, con il Naviglio sulla sinistra
L’altro Naviglio
I sud-milanesi sanno bene che il Naviglio Pavese è considerato quello scrauso tra i due da cui la zona prende il nome – tanto che l’altro, che già di per sé si chiama Naviglio Grande, non pago delle sue manie di protagonismo, viene chiamato da tutti “il naviglio bello”. Non a torto, devo ammettere: superato il primo, inflazionatissimo, insopportabile tratto che va dalla Darsena a porta Genova, e poi ancora oltre il limite invalicabile della circonvallazione esterna con relativo ponte di ferro della ferrovia, si arriva alla piccola chiesa di San Cristoforo sul Naviglio, appoggiata lì sull’Alzaia da diversi secoli. Attraversando il ponticello pedonale si raggiunge la Gelateria della Musica: vi prego, andate oltre i nomi imbarazzanti dei gusti che si chiamano come cantanti pop italiani e assaggiate, tra gli altri, il pistacchio tostato e leggermente salato. Già che ci siete, riattraversate il ponte e fate una piccola deviazione verso il confinante Giambellino e fino a Gogol & Company, super libreria indipendente con piacevolissimo dehors su piazza pedonale. Anche sul Naviglio Grande c’è una pista ciclabile, che porta fino a Gaggiano, Abbiategrasso e oltre. Ma, campanilismo del naviglio scrauso oblige, non l’ho ancora provata.
Via San Cristoforo, 3 – Via Lodovico il Moro, 3 – Via Savona, 101