Ex cathedraLo smarrimento degli intellettuali nell’epoca di internet

Le nuove tecnologie hanno eroso la posizione di preminenza dei pensatori che quindi hanno perso la funzione di guida e di selezione per le masse. Da qui, spiega Sabino Cassese, ne discende la crisi. Ma anche l’opportunità di trovare un nuovo pubblico e diffondere le proprie idee

di Julia Florczak, da Unsplash

L’intellettuale parla da una «cattedra»: fa una conferenza, scrive su giornali e settimanali, partecipa a trasmissioni radiofoniche o televisive. La «cattedra» è parte del suo ruolo: è anche per questo che viene ascoltato più di altri. Che cosa succede all’epoca di Internet, quando tutti possono salire in cattedra e alcuni dei mezzi di cui solitamente si vale l’intellettuale raggiungono sempre meno persone (penso principalmente ai quotidiani)?

Al tempo di Internet, sembra minore il bisogno degli intellettuali perché tutti possono accedere a tutta l’informazione. Siamo al connective turn (immediatezza, volume e pervasività del digitale). Domina la «memoria transattiva» (le persone fanno affidamento sulle informazioni che possono trovare nel web). L’«amnesia digitale» minaccia la memoria e induce alla «pigrizia cognitiva». Quando Google diventa una componente del proprio sistema cognitivo, c’è ancora bisogno degli intellettuali?

Lo storico inglese Eric Hobsbawm ha osservato che l’epoca in cui «gli intellettuali erano il principale volto pubblico dell’opposizione politica appartiene ormai al passato. […] In una società dominata dall’incessante intrattenimento di massa, gli attivisti alla ricerca di utili sostenitori di buone cause preferiscono rivolgersi a celebri attori o a musicisti rock anziché agli intellettuali […]. Viviamo in una nuova era, almeno finché il rumore universale dell’autoespressione tramite Facebook e gli ideali egualitari di Internet non avranno avuto il loro pieno effetto sulla scena pubblica».

È corretta questa diagnosi? L’intellettuale non perde certo il suo pubblico, ma questo può ascoltare anche quella cacofonia di voci che possono trovarsi e cercarsi on line. L’intellettuale perde una parte della sua funzione di guida, di selezione, allo stesso modo in cui il giornalista perde la sua funzione di selettore e ordinatore, o commentatore di notizie, quando ci si vale del web per informarci.

D’altra parte, può dirsi che, proprio quando questo accade, c’è più bisogno dell’intellettuale, se questo è in grado di mettere ordine nel grande mare delle opinioni e delle asserzioni che possono trovarsi on line e di aggiungere un certo grado di «riflessività» ai dialoghi immediati che si svolgono sulla rete.

L’intellettuale al tempo di Internet deve affrontare un secondo problema, quello del suo modo di esprimersi. Se prima poteva articolare il suo pensiero, spiegare, entrare nei particolari, ora deve «stringere», essere breve. Questo fa sorgere un paradosso. Quanto più assertiva è la politica (e lo è molto, ai tempi del cosiddetto «populismo»), tanto meno oracolare deve essere lo stile dell’intellettuale. Ma questo entra in contraddizione con lo stile imposto dal mezzo, che privilegia la brevità e comunque la concisione. Si tratta di riuscire a trovare un punto intermedio, che consenta al pensiero di esprimersi in modo sufficientemente ragionato e al mezzo di veicolarlo in modo sufficientemente conciso.

Tutto questo spiega perché gli intellettuali ricorrono ancora poco o in maniera insufficiente al mezzo web, nonostante la forza espansiva che esso presenta, nel senso che consente di raggiungere molte persone, specialmente quelle che non leggono giornali e non ascoltano la radio.

Il problema attuale è dunque quello di stabilire un giusto equilibrio tra vecchi e nuovi mezzi, e vecchio e nuovo linguaggio o stile. L’intellettuale deve, quindi, stare in equilibrio tra i mezzi tradizionali (giornali, radio, televisione) e quelli contemporanei (social media e altri che consentono, tramite la rete, colloqui many to many).

Deve inoltre essere capace di aggiungere alle «lezioni» che fanno parte del suo mestiere, quelle «lezioni in pubblico» che sono richieste continuamente dallo sviluppo di festival (ve ne sono molti, in Italia, della storia, della filosofia, della comunicazione, dell’economia, e così via), scuole di politica, presentazioni di libri, iniziative culturali di comuni, circoli, associazioni, licei e altri istituti scolastici. Quest’ultima attività spinge l’intellettuale verso un pubblico più vasto di quello consueto, che chiede qualcosa di più e di nuovo al vecchio mestiere dell’insegnante, di dare una guida, di indicare un futuro, non solo di analizzare il presente.

Più difficile coniugare l’immediatezza, semplificazione e istantaneità richiesta oggi con la necessaria «riflessività» dell’intellettuale (se questo non ragiona e non aiuta a ragionare perde il suo ruolo, tradisce la sua funzione).

Nell’età di Internet, sta però emergendo un ulteriore fenomeno, non sufficientemente indagato finora. Mi riferisco allo sviluppo spontaneo di società, scuole, club, circoli, istituti che svolgono un’attività di formazione e di dibattito. All’origine di questo fenomeno, vi è certamente una carenza del sistema scolastico nazionale. Ma vi è anche un’apertura prodotta dal web, un aumento delle curiosità e dei bisogni di cultura, una maggiore attitudine al dialogo. Grazie a questo sviluppo, si aprono grandi spazi agli intellettuali, come dimostrato dalla presenza di alcuni di essi a molte di queste iniziative.

Gli intellettuali possono avere anche un altro pubblico, meno ampio, quello dello spazio politico. Questo accade quando diventano «consiglieri del principe» oppure sono chiamati a svolgere direttamente ruoli pubblici, come parlamentari o componenti di organismi pubblici. In tutti i Paesi, vi sono stati intellettuali impegnati nell’arena politica. In Italia i casi maggiori sono quelli degli «indipendenti di sinistra» reclutati dal Partito comunista e degli intellettuali che hanno accompagnato la prima fase del berlusconismo, dal 1994.

da “Intellettuali”, di Sabino Cassese, Il Mulino, 2021, pagine 120, euro 12

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