Shakespeare nel MissouriIl trittico di Marilynne Robinson ha la grazia e la forza del capolavoro americano

Con i suoi libri (tra cui “Jack” uscito ora per Einaudi) la scrittrice vuole dar figura a un Mondo Nuovo, a un’America all’altezza degli ideali e delle cadute dei Padri Pellegrini. Nelle sue pagine non c’è il borotalco post-moderno dei rosei narratori atlantici, ovvero l’ironia di chi non crede più a nulla, di ogni cosa sa soltanto far parodia e tutto sa citare ma niente sa dire

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Uno dei vantaggi della narrativa nordamericana è l’essenzialità della dotazione (obbligatoria e sufficiente) del romanziere: la Bibbia di Re Giacomo, Shakespeare, Melville e Hawthorne, Poe e Twain e un paio di autori del Novecento, a gusto – poco importa, non sono obbligatori. È un vantaggio, per tutto.

Marilynne Robinson dà l’impressione di aver ridotto il numero a due: la Bibbia e Shakespeare, e di aver letto e meditato sulle “Confessioni” di Sant’Agostino avendo a fianco i testi di Karl Barth. (Naturalmente, ha letto invece tutti i classici europei e russi che le servivano, più Kierkegaard). L’impressione di un immaginario compreso di sostanza e ampio di visione che lascia il leggere i romanzi della Robinson è unica: è paragonabile soltanto a quella lasciata da Cormac McCarthy. 

Lo dico subito: “Jack”, la terza (“Lila” è altra cosa) tavola del trittico che va a comporre con “Gilead” e “Casa”, è un coronamento e la tavola centrale. Ha la forza e la grazia del capolavoro. Questo per una ragione: Jack Boughton, il protagonista eponimo, è un grande personaggio: entra di diritto nel pantheon dei grandi personaggi della letteratura. Punto. Jack l’oscuro è il motore silenzioso della narrazione e il fulcro, il perno attorno a cui ruotano i pensieri le parole le omissioni di Marilynne Robinson. Entra di sbieco (ma occupa subito la scena) in “Gilead”, è con la sorella Glory a dar vita ai dialoghi di pura bellezza in “Casa” (l’ho già scritto ma vale ripeterlo: il romanzo ne avrebbe guadagnato se letto dalla voce di Glory) e ora è protagonista assoluto di una storia che racchiude tutto il bene e il male del mondo.

Le prime ottantuno pagine sono memorabili. Jack si trova di notte nel cimitero di St. Louis, il Bellefontaine, «il magnifico cimitero» dei bianchi, e lì incontra Della, giovane donna nera di cui ha già riconosciuto la profonda bellezza. La giovane è rimasta chiusa dentro per distrazione. Jack si offre di starle vicino ma a debita distanza, in modo da proteggerla e non metterla a disagio; Della sceglie di discorrere con lui. («E non siamo nel paese dei vivi. Siamo spettri, fra gli spettri. Sarebbero invidiosi. Noi due qui fuori, nell’aria fragrante, che chiacchieriamo per il mero piacere di farlo»). Shakespeare nel Missouri segregazionista del 1956: il tempo e l’aria del trittico robinsoniano. Camminano a piedi nudi nel buio e ascoltano l’uno l’altra, si siedono vicini. Jack si fa beffe di sé e mette lei in guardia, dice del suo portare guai come di un fatto naturale («La mia è una reazione involontaria, chimica. Il contatto tra Jack Boughton e… l’aria. Sa, come il fosforo. Senza vera fiamma, ovviamente […] Un colore rosato di imbarazzo che avvolge qualsiasi cosa ordinaria. Non c’è verso di nasconderlo»), ironizza e incanta, un bardo dolente e arguto, affascinato. Il fatto è che Della tutto è meno che ordinaria, e lui lo sa bene. Ci sono già stati incontri seguiti a una galanteria di lui, con atti dettati dal sacro terrore della bellezza e un primo finale sconsolato – ma questo è solo accennato.

Jack Boughton è un uomo che ha scelto di stare discosto, in primis da chi gli vuole bene e lo aspetta, per via della sua tendenza a far danni, a cercare guai e colpe da scontare: un figliol prodigo recalcitrante che chiama il padre «il vecchio signore» e ama i versi del “Paradiso perduto” di Milton. Vive ai margini, si mantiene in vita grazie a piccoli furti e ai soldi che il fratello Teddy gli manda con regolarità. Frequenta la biblioteca, legge poesia, si interroga. È un anima forte che la Grazia non ha visitato. L’unico suo obiettivo è l’innocuità: non vuole fare del male. Non torna alla casa che lo aspetta per evitare di riconoscere il disprezzo negli occhi del padre: sa bene che il vecchio signore, uomo di fede e pastore, ne morirebbe.        

Della Miles, giovane donna nera figlia di un ministro del culto (come Jack), vescovo a Memphis, addirittura, e insegnante di liceo, è una figura della grazia e del valore. Sorride delle eleganti geremiadi di Jack, discorre con lui dell’“Amleto” e della vulnerabilità dell’anima, di poesia e gioia dei libri (lui gliene deve rendere due), del “Paterson” di William Carlos Williams, per Jack «davvero uno splendido libro» che lei dovrebbe leggere; dicono dei rispettivi padri lontani e tutt’altro che remoti, uno metodista e l’altro presbiteriano (Jack: «Parlano sempre come se il mondo fosse finito. Porgi l’altra guancia. Accogli lo sconosciuto. D’accordo. Poi dicono: Be’, però devi usare un po’ di buonsenso»); e avvolge Jack di una attenzione che ha l’aura della corrispondenza. Una lunga notte, e quella parola: quiete.

Sarà quell’accenno al «mondo come finito» ad accendere la scintilla. Immaginano di essere rimasti gli unici due abitanti dopo la fine del mondo, Della inventa una nuova etica americana («Con la fine del mondo, nulla avrebbe importanza tranne ciò a cui lei vorrebbe dare importanza») e così una nuova possibilità per Jack (gli uomini): «Niente più trascinarsi appresso tutte le cose di cui si pente. Il solo fatto di pentirsene le estinguerebbe […] Ecco, questa è una regola nuova»). La notte scorre e porta doni. Per Jack, il più bello: «Ed ecco là Della, in piedi al suo fianco come se nessuno dei due potesse essere altrove». Per entrambi la verità in quella parola che torna e dice tutto: quiete, isolata tra due punti fermi. L’offerta che la vita porta loro è quella più rara: fiducia e lealtà. Sapranno Jack e Della farla loro?   

Marilynne Robinson vuole dar figura a un Mondo Nuovo, a una America all’altezza degli ideali e delle cadute negli atti dei Padri Pellegrini. La sua Gilead di finzione e l’America che la circonda non sono quelle della iconografia passata a memoria e così storicizzata. L’impressione forte e costante è quella di un mondo nuovo: una terra di conflitti e di miserie, com’è dell’uomo, eppure abitata e percorsa da uomini e donne puri di cuore, e liberi. (La Corea non si dice e il Vietnam è lì da venire; e il 22 novembre 1963 è ancora lontano). Certo, la segregazione dei neri c’è e si sente, l’impossibilità di un uomo bianco e una donna nera di avere una relazione accettata anche, e ben presente a Jack e Della: non conta, alla Robinson interessano l’uomo e la donna, novelli Adamo e Eva che inventano un mondo dopo la fine. Jack e Della lo fanno attraverso la parola e gli atti e per via di consonanza.

Ascoltiamo (sì, non è un errore) Della: «Tutti abbiamo un’anima, giusto? […] È vero. Lo sappiamo, ma solo perché è un’abitudine crederlo, non perché sia davvero visibile ai nostri occhi perlopiù. Ma una volta nella vita, forse, guardi uno sconosciuto e vedi un’anima, una presenza gloriosa fuori posto nel mondo. E se ami Dio, ogni scelta è già fatta per te. Non hai modo di guardare dall’altra parte. Hai visto il mistero… hai visto l’essenza della vita. Il suo scopo. E un’anima non possiede qualità terrene, né una storia tra le cose di questo mondo, nessuna colpa o ferita o insuccesso. Esattamente come non l’avrebbe una fiamma. Non c’è nulla da dire in proposito eccetto che è un’anima umana sacra. Ed è un miracolo quando la riconosci». Si riferisce a Jack; è il Credo dei Mondo Nuovo.

Dove è la lingua della Robinson a celebrare un «matrimonio austero e solitario», come quello tra Jack e Della, tra le cose e le parole: è il suo servizio: è abito di verità e di pensiero. Il fraseggiare calmo e composto è la seconda naturalezza cui ogni scrittore ambisce e a cui pochi, pochissimi attingono. Naturale conseguenza della statura umana dei personaggi sono i dialoghi tra Jack e Della, tutti improntati alla parola e forma oggi più disattesa: serietà. La Robinson crede in ogni parola che scrive, così come Jack e Della in ogni parola che dicono. Fatto che non impedisce loro di sorridere e spesso di ridere. Non c’è l’ironia di chi non crede più a nulla e di ogni cosa sa soltanto far parodia, tutto sa citare e niente sa dire: ironia, il borotalco post-moderno dei rosei narratori atlantici. Non è più tempo di parodia e pastiche. Jack Boughton, il Nuovo Adamo americano, oberato di colpe e di inganni, mistero doloroso e glorioso insieme, è figura della serietà americana: come il Billy Parham e il John Grady Cole di Cormac McCarthy, e il padre di “La strada”.  

La trilogia di Marilynne Robinson vale la “Trilogia della frontiera” di Cormac McCarthy: sono entrambe figura in forma di parole dell’America. Sono trittici complementari. (Lo splendido “Housekeeping” è il “Meridiano di sangue” della Robinson – ma questa è un’altra storia, per una prossima volta). Tutto il resto è New York & Company: salotti Coen Brothers e merletti: la cugina ossigenata e rifatta dell’Europa.           

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