In corpore sanoMilano può fare da apripista per le cure integrate

Se la pandemia ci ha insegnato qualcosa, è che le terapie “universalizzabili” non sempre servono: c’è però una medicina che riparte dalla persona e dalle sue caratteristiche mai del tutto standardizzabili. In città a rappresentarla è il centro di medicina e psicologia integrata conCura, in via Sforza

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Nell’epoca in cui la priorità dei governi di tutto il mondo è vaccinare i propri cittadini, la salute e il benessere sono diventati i grandi protagonisti del dibattito politico. Ciò che prima era una condizione di pochi – la malattia – oggi è una preoccupazione collettiva, un rischio condiviso, qualcosa che ci riguarda potenzialmente tutti. Il che non può che spiazzare una società che ha ingaggiato, da secoli, una lotta senza quartiere contro la sofferenza, l’ageing, il decadimento dei corpi e la degenerazione delle menti.

Ma ciò che del Sars-Cov2 disorienta di più è che questi «tutti» potenzialmente a rischio rispondono in modo del tutto diverso e imprevedibile a uno stesso fattore scatenante. Tanto che medici e scienziati, pur avendo dedicato tempo, risorse e le migliori energie scientifiche allo studio del virus, ancora non riescono a fare previsioni sul decorso che la malattia potrebbe avere nei casi specifici. «Ciò che il 90% delle persone supera in maniera abbastanza semplice, per un 10% porta all’ospedalizzazione e, nei casi più gravi, in terapia intensiva. A fare la differenza è il sistema immunitario del soggetto e i suoi eventuali profili di disregolazione», spiega agli studenti di psicologia dell’Università Bicocca il professor Francesco Bottaccioli, fondatore della Società italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia (Pnei).

C’è nel Covid un aspetto di personalizzazione della malattia che esaspera uno dei grandi assunti della medicina scientifica occidentale: l’idea che, in fondo, in quanto corpi, noi uomini siamo tutti più o meno uguali; sicché una cura che vale per l’uno varrà anche per l’altro. Un approccio che spinge il medico a dirigere il suo sguardo meno sul paziente e più sul suo ambiente, alla ricerca dei fattori esterni che causano la malattia e per cui la farmacologia produce terapie universalizzabili e altamente scalabili.

Con il Covid, però, questo modello mostra i suoi limiti. Nella soluzione del rebus pandemico, infatti, è ormai evidente che manca una variabile finora sottovalutata: quella della persona e delle sue caratteristiche biologiche e psicologiche uniche e, in sé, mai del tutto standardizzabili, specialmente sul piano immunitario. Il che sfida la compartimentazione tra specializzazioni e anche tra terapia medica e cura psicologica. Per guardare al paziente nella sua interezza, infatti, serve la collaborazione di più specialisti, secondo una logica di équipe multidisciplinare. Gli esempi concreti, per ora, sono pochi e riguardano perlopiù l’ambito privato. Milano, che è sempre in prima linea quando si tratta di sperimentare, non fa eccezione con un unicum rappresentato dal centro di medicina e psicologia integrata conCura, affacciato sul Naviglio Pavese (in via Ascanio Sforza).

Nel centro per ogni paziente viene attivato un iter diagnostico personalizzato che prevede la presa in carico da parte di più professionisti e la definizione di un piano terapeutico integrato. All’inquadramento medico generale e i test diagnostici si accompagnano tutta una serie di approfondimenti utili a costruire una profilazione individualizzata e a definire linee di intervento che integrano nel piano di cura anche trattamenti osteopatici, chinesiologici, psicologici, eccetera. Una vera e propria rivoluzione della cura, sia per i medici che per i pazienti.

«Chi si avvicina al nostro centro», ci spiega il suo fondatore, il dott. Gottardello «di norma ha già una certa consapevolezza e cultura del benessere psicofisico, leve indispensabili per sostenere un cambiamento delle proprie abitudini di vita». Curarsi in maniera integrata, infatti, mette in gioco la qualità del cibo e le proprie consuetudini alimentari, la frequenza e il tipo di esercizio fisico che si fa, i ritmi e gli stili di vita, la gestione quotidiana dello stress e la rete di interazioni psicosociali con il proprio l’ambiente.

«È roba da ricchi, quindi?», chiedo al dott. Gottardello. «No, è un percorso per persone motivate e consapevoli», mi risponde. E formate, magari attraverso percorsi di sensibilizzazione e cultura del benessere e della salute. Il centro, in questo senso, ha già avviato una serie di collaborazioni con le associazioni di quartiere, le realtà del food di zona sensibili alla qualità del cibo o con gli esperti di sport outdoor per corsi da attivare nei parchi limitrofi.

Ma per fare di questo esperimento un pilota esportabile, servirebbe un input forte dell’amministrazione locale nel promuovere “ticket della salute” come questi su scala cittadina, magari con agevolazioni che li rendano via via più accessibili a tutti. Un impegno per migliorare la qualità della vita dei cittadini milanesi e per mostrare che, in fondo, dal Covid abbiamo anche imparato qualcosa.

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