All’inizio del secolo l’Italia era uno dei cinque paesi europei con un partito verde al governo: la Federazione dei Verdi contribuiva con due ministri all’esecutivo guidato da Giuliano Amato, dopo aver preso parte anche a quelli dei suoi predecessori, Romano Prodi e Massimo D’Alema. Nel ventennio successivo la rappresentanza ecologista ha subito un progressivo declino e dal 2008 non ha più conquistato nemmeno un seggio in nessuna tornata elettorale, finendo ai margini della politica nazionale.
Invertire la rotta e vedere anche in Italia i risultati ottenuti in altri paesi dell’Ue è la speranza di Philippe Lamberts, politico belga copresidente del gruppo Greens/Efa al Parlamento europeo. Un auspicio portato all’European Ideas Lab di Milano, l’evento organizzato dal gruppo per raccogliere idee tra politici, attivisti e membri della società civile. Proprio il capoluogo lombardo sembra la città giusta per cominciare la riscossa, dopo le ultime elezioni amministrative: il partito Europa Verde ha ottenuto qui il suo miglior risultato a livello nazionale (5,1%) e il sindaco vittorioso, Beppe Sala, ha firmato pochi mesi fa la Carta dei Valori dei Verdi europei.
La transizione ecologica è al centro dell’agenda politica italiana e i giovani manifestano contro il cambiamento climatico: è il momento giusto per l’affermazione di un partito verde?
Oggi noto più interesse nei temi storici dei Verdi, ma manca ancora la traduzione di questo interesse in consenso politico. La mia convinzione personale è che molti in Italia portino avanti battaglie ambientaliste anche fuori dai partiti verdi in senso stretto: succede nel Parlamento italiano, ma anche nella società civile.
Qual è la ricetta politica per l’«onda verde» in Italia?
Perseguire gli stessi obiettivi, ma ognuno per conto proprio provoca una grande dispersione di energia con risultati modesti. Bisognerebbe unire tutti i promotori di istanze ecologiste in un unico soggetto politico, unito e aperto. È fondamentale non escludere nessuno: l’unico modo per avere un impatto reale nella politica italiana è riunire sotto una sola bandiera tutte le forze con lo stesso orientamento.
Questo soggetto politico sarà Europa Verde?
Non dico questo. Ovviamente Europa Verde ha un programma green, ma non sono gli unici in Italia. Credo sia necessario trovare qualcosa di più ampio e inclusivo. Ed essere inclusivi non significa soltanto lasciare agli altri la possibilità di aderire al proprio partito: non è abbastanza e non funzionerà. Ci sono figure che hanno valide credenziali ecologiste anche fuori da Europa Verde, come ad esempio Rossella Muroni (parlamentare del gruppo Facciamo Eco ed ex presidente di Legambiente, ndr): senza dubbio una voce molto riconosciuta dell’ambientalismo italiano. Bisogna mettere da parte gli egoismi e pensare in modo collettivo: dobbiamo trovare una casa comune a tutti coloro che perseguono, con credibilità, un’agenda verde.
La situazione politica italiana vede due fra i partiti principali, Lega e Fratelli d’Italia, appartenenti a gruppi politici di destra radicale del Parlamento europeo. È un caso praticamente unico in Europa. Perché?
Matteo Salvini e Giorgia Meloni attaccano determinati gruppi di persone utilizzandoli come capro espiatorio. Fanno leva sulla rabbia e il risentimento popolare: sentimenti spesso giustificati, perché le persone «comuni» pagano gli effetti delle crisi economiche. Non possiamo dire loro di non essere arrabbiate, ma possiamo utilizzare questa rabbia come energia per il cambiamento. I partiti di estrema destra invece la usano per creare un modello di società «noi contro di loro», basato quindi sull’esclusione. «Loro» possono essere i musulmani, i migranti, o i cosiddetti rappresentanti dell’establishment…
Salvini ha espresso più volte il desiderio di unire tutta la destra europea. Ce la farà?
Anche di Viktor Orbán si diceva che avrebbe unito tutte le forze di destra radicale dopo che il suo partito, Fidesz, era stato costretto a lasciare i popolari europei. Ma non è successo, perché c’è una contraddizione di fondo nel concetto di «internazionale dei nazionalisti». In realtà i partiti sovranisti dei vari paesi sono divisi su tanti argomenti.
A proposito, la destra radicale in Europa la preoccupa?
Mi preoccupa quando un partito considera alcuni fra gli esseri umani meritevoli di minore dignità. Io posso non essere d’accordo con i liberali o i conservatori sulle politiche da adottare, ma c’è una base di partenza su cui concordiamo: i valori europei, a partire dalla dignità umana. Ogni cosa che facciamo deve puntare ad aumentare le possibilità per le persone di vivere in maniera degna.
In tutta Europa sono in crescita i prezzi dell’energia. Questo può mettere a rischio le politiche ambientali intraprese dalla Commissione e dare voce a chi contesta la transizione ecologica?
Se la transizione ecologica viene semplicemente inserita in un sistema di per sé ineguale, porterà la società a esplodere. Produrre beni e servizi in modo sostenibile costa di più: se non fosse così, l’economia sarebbe già green e rispettosa dei diritti. Invece ora è molto più economico e profittevole utilizzare il lavoro minorile nel Sud-Est asiatico o distruggere gli habitat naturali: se paghi tre euro una maglietta o un pollo, vuol dire che quei prodotti sono stati realizzati a danno di qualcosa o qualcuno. Produrre in modo pulito costerà di più, dobbiamo fare in modo che tutti se lo possano permettere.
Sembra facile in teoria, ma in termini concreti cosa significa?
Che dobbiamo reinventare e trasformare il nostro sistema economico. L’Europa nel suo complesso è un continente ricco, ma ha un problema di distribuzione della ricchezza. Per risolverlo bisogna agire su tre componenti: mercato del lavoro, tassazione e servizi sociali. Quarant’anni di politiche neoliberali ci hanno portato a questo punto e chi le ha condotte ci ha fatto credere che non c’era alternativa. Si è partiti dall’assunto che rendere più ricchi i ricchi avrebbe arrecato benefici all’intera comunità, ma non è stato così.
Alle elezioni in Germania, i Verdi hanno sfiorato il 15%, il miglior risultato della loro storia. Ma viste le aspettative, si poteva ambire a qualcosa in più?
L’esito del voto è al tempo stesso incoraggiante e deludente. I Grünen hanno conquistato 118 seggi, vincendo anche in circoscrizioni tradizionalmente conservatrici: sono a pieno titolo dentro la partita per la formazione del nuovo governo. Al tempo stesso con le inondazioni di quest’estate, il mondo che cambia e la politica di Angela Merkel inadeguata per il futuro, i Verdi dovrebbero essere al 25%…
Invece la candidata cancelliera Annalena Baerbock non ha sfondato. Perché?
Tre quarti dei tedeschi hanno votato per lo status-quo, scegliendo i partiti che hanno promesso loro continuità: cristiano-democratici (Cdu), socialisti (Spd) o liberali (Fdp). Lo stesso Olaf Scholz ha vinto garantendo di cambiare il meno possibile rispetto alla gestione Merkel. I Verdi invece propongono novità su tutti i fronti: il modello economico troppo dipendente dalle esportazioni, il ruolo geopolitico della Germania nel mondo, le regole fiscali europee basate sull’austerità. È una politica coraggiosa, ma dire la dura verità non è garanzia di successo. Ad esempio, la maggior parte degli elettori tedeschi vorrebbe azioni contro il cambiamento climatico, ma non è disposta ad accettare che questi interventi modifichino il suo stile di vita. Perciò hanno preferito forze politiche più «rassicuranti».
Quindi con chi si alleeranno i Verdi?
Entrambe le alleanze con i grossi partiti, Cdu e Spd, sono possibili a livello numerico. Sul piano delle politiche climatiche, i socialisti sono conservatori tanto quanto i cristiano-democratici: nella scorsa legislatura hanno concordato insieme la fine dell’utilizzo del carbone soltanto nel 2038. Stesso allineamento sulla visione del modello economico nazionale o sulle regole fiscali europee, dove Scholz ha fatto intendere che sarà persino più rigido di Merkel. Ma ho piena fiducia nei miei colleghi, sono pronti a dare battaglia nelle trattative: magari proprio grazie alle leve negoziali, i Verdi potranno cominciare a cambiare la Germania.