«Sebbene all’apparenza umili e passive, le foglie sono però la sede della tecnologia forse più evoluta del pianeta Terra, di certo la più utile: la fotosintesi clorofilliana». Sono parole di Giuseppe Zare, autore dei testi di “Piccolo manuale illustrato per cercatori di foglie”, un libricino illustrato da Sofia Paravicini e pubblicato da Il Saggiatore che racconta mito e storia, botanica e meraviglia degli alberi e delle loro foglie; in poche parole il libro descrive il rapporto di compenetrazione esistente tra uomo e albero, perché di fatto «le foglie hanno creato il mondo».
Nel manuale sono racchiusi venti “incontri ravvicinati” con una selezione di alberi (acero, fico, melo, pioppo, quercia e tanti altri più o meno comuni), mettendo assieme per ciascuno caratteristiche tecniche (longevità, clima, habitat, altezza, tipologia delle foglie) e aspetti più poetici (tra cui l’utilizzo degli stessi nell’arte e nella letteratura).
I punti di partenza del libro sono essenzialmente tre: il primo è che «le piante e gli altri organismi fotosintetici hanno dato vita all’atmosfera terrestre», contribuendo a creare l’aria che respiriamo, il secondo è che sono le foglie, insieme ad alghe e batteri, «ad aver fatto avanzare la vita al di fuori dell’acqua, generando un ambiente che gli altri organismi hanno potuto abitare». Il terzo, infine, non assolutamente un aspetto secondario: le foglie «sono bellissime». Soggettivo, ma quasi assolutamente inconfutabile.
Il “Piccolo manuale illustrato per cercatori di foglie” è un bel prodotto dell’Officina del Saggiatore: un progetto nato dalla fucina della stessa casa editrice e da un continuo scambio di prospettive e opinioni, nel tentativo di ricercare una visione del mondo in costante divenire. L’obiettivo finale è la creazione di un dialogo con i lettori che apra a nuove prospettive su svariati argomenti, in cambio della loro partecipazione attiva. Un dialogo non dissimile da quello di cui si parla nel libro tra umani e vegetali, che «sono fatti l’uno per l’altro, per esistere insieme, e mentre qualcosa dell’albero vive nella natura umana, parimenti la sostanza dell’umano scorre nella vita dell’albero: gli alberi sono noi, e noi siamo alberi».
Valore aggiunto del libro, inoltre, sono le pagine bianche tra un albero e l’altro. Un invito silenzioso e interattivo per chi volesse passare all’azione e conservare le foglie, portando un pezzo di mondo nel libro e viceversa, in uno scambio costante. Uno spazio nato per ospitare le foglie di tutti gli alberi che qui prendono forma e voce; foglie larghe, palmate, accoglienti oppure frondose e delicate, percorse da venature che dal cuore si irradiano fino ai margini, dotate di forme e colori che non smettono di incantare, dai gialli e malinconici ventagli del ginkgo biloba alle punte rosso sangue degli aceri autunnali, dalle foglie alterne, ovato-romboidali, dentate e portate da un lungo picciolo della betulla, a quelle del platano, che ricordano il palmo di una mano, sino alle lucide, verdi, scure ed ellittiche foglie dei limoni, dai margini crenati.
L’atto di riconoscere educa all’ascolto del mondo che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno e spesso diamo per scontato. Porta a una maggiore attenzione, al gesto di accorgersi e prendersi cura. L’atto di custodire, invece, è parte di un doppio significato: da un lato un ritorno all’infanzia, al gioco di un piccolo esperimento scientifico ci conservazione realizzato in prima persona, dall’altro lato un richiamo a un atto di memoria quasi nostalgico. Non a caso accompagna l’ulivo, in chiusura di volume, una poesia di Montale – cui in questi giorni si è celebrato il 125esimo anniversario dalla nascita – intitolata “Fine dell’infanzia”: «Pure colline chiudevano d’intorno / marina e case; ulivi le vestivano / qua e là disseminati come greggi, / o tenui come il fumo di un casale / che veleggi / la faccia candente del cielo».
Conclude il volume una bibliografia, anzi detta “Piccola biblioteca arborea”, ovvero una raccolta di testi che gli appassionati del genere non possono certo ignorare: da Rigoni Stern a Michael Pollan, passando per Tiziano Fratus, Emanuele Coccia e Mauro Agnoletti, che con il suo “Storia del bosco”, uscito per Laterza nel 2018, accompagnò i lettori a spasso per la penisola italiana, coperta da boschi per oltre il 35% (un terzo della sua superficie), descrivendo così un paesaggio naturale che è insieme anche un viaggio umano attraverso la storia del Paese.
Ed è peraltro notizia recente che questa superficie sia aumentata del 18,5% in 10 anni, fino agli attuali 11 milioni di ettari (e una enorme ricchezza di biodiversità che forse solo variabili come clima e roghi possono contrastare), come confermato dai dati del Global Forest Resources Assessment 2020 e soprattutto dagli ultimi dati pubblicati dall’Inventario nazionale delle foreste e dei serbatoi forestali di carbonio, realizzato dal Comando unità forestali ambientali e agroalimentari dell’Arma dei Carabinieri, in collaborazione con il Crea, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi per l’economia agraria, e il contributo dei Corpi forestali delle Regioni e Province autonome.
Un lavoro, frutto di anni, presentato a Milano in occasione di All4Climate, appuntamento preparatorio della Cop26 di Glasgow, XXVI Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, in programma dal 31 ottobre al 12 novembre 2021. Un luogo in cui parlare di uomini e ambiente, quindi, in qualche modo, anche di foglie.