Stato di dirittoPerché la Polonia non può rifiutarsi di pagare la multa della Commissione

Una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione obbliga Varsavia a versare un milione di euro al giorno al Berlaymont che in caso di inadempienza può prelevarli dai fondi comunitari. Nonostante gli espedienti per dilatare i tempi, per il governo polacco non c’è scappatoia

LaPresse

La Polonia ha appena ricevuto la sanzione più alta della storia dell’Unione europea e non ha modo di sottrarsi al pagamento, nonostante le bellicose dichiarazioni dei suoi esponenti politici. La sanzione di un milione di euro al giorno, imposta dalla Corte di Giustizia dell’Ue, dovrà essere versata alla Commissione a partire dal momento della notifica: in caso contrario l’esecutivo comunitario potrà prelevare i soldi che gli spettano dai fondi Ue destinati al Paese.

La Corte con sede in Lussemburgo ha multato la Polonia per una vicenda relativa all’amministrazione del suo sistema giudiziario. Il governo di Varsavia aveva deciso nel 2017 di istituire una Camera disciplinare (Izba Dyscyplinarna) che valutasse l’operato dei giudici della Corte Suprema. 

Questo tribunale è considerato dagli esperti l’ultima roccaforte dello Stato di diritto in Polonia, dato che i suoi membri dispongono di un mandato a vita e il partito Diritto e Giustizia (PiS), al potere dal 2015, non ha potuto rimuoverli. La Camera disciplinare, tuttavia, può influenzarne l’operato, punendo ad esempio quelli che presentano domande di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Per le modalità di elezione dei suoi componenti e l’influenza diretta del potere politico, la sezione disciplinare è stata giudicata contraria alla Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, mentre la Corte di Giustizia dell’Ue sta tuttora valutando la sua compatibilità con il diritto comunitario. Nel frattempo, ha ordinato lo scorso 14 luglio alla Polonia di applicare delle misure ad interim nel periodo che precede la sentenza, tra cui la sospensione dell’azione della Camera disciplinare, necessaria per «evitare danni gravi e irreparabili all’ordinamento giuridico dell’Unione europea e ai valori sui quali è fondata, in particolare lo Stato di Diritto».

Il governo di Varsavia, però, non ha obbedito e ha anzi proposto un ricorso al Tribunale costituzionale polacco, per valutare il diritto della Corte di Giustizia comunitaria a esprimersi in materia di indipendenza giudiziaria interna. Nonostante le aperture del Primo ministro Mateusz Morawiecki sulla possibilità di abolirla, la Camera disciplinare è ancora operativa. 

Per questo la Corte di Giustizia Ue ha accolto la richiesta della Commissione europea ed erogato la sanzione finanziaria: la Polonia dovrà pagare un milione di euro per ogni giorno di attività della sezione disciplinare, dal momento della notifica fino a quello del giudizio finale sul caso da parte della Corte stessa. Questa punizione pecuniaria si somma a un’altra inflitta lo scorso 20 settembre: 500mila euro per ogni giorno di attività della miniera di lignite di Turów, sotto accusa per danni ambientali.

«La via delle punizioni e dei ricatti verso il nostro Paese non è la via giusta. Questo non è il modo in cui l’Unione europea dovrebbe funzionare», ha subito risposto il governo polacco, tramite il suo portavoce Piotr Müller. «La questione della regolamentazione della magistratura è di competenza esclusiva degli Stati membri» secondo Varsavia: una tesi difesa da Mateusz Morawiecki durante l’ultima plenaria del Parlamento europeo e soprattutto sancita dal Tribunale costituzionale polacco, il quale lo scorso 7 ottobre ha stabilito che sulla materia il diritto comunitario non è superiore a quello interno.

Proprio grazie a questa sentenza, l’esecutivo presieduto da Morawiecki e in realtà guidato dietro le quinte dal leader del PiS Jarosław Kaczyński, avrebbe un appiglio «legale» per rifiutarsi di pagare la sanzione. Stando ai dettami del Tribunale costituzionale, infatti, la Polonia non sarebbe tenuta ad accettare le imposizioni provenienti dall’Ue sul tema dell’indipendenza dei giudici.

«La Corte di Giustizia dell’Ue ha “chiamato” il bluff polacco», scrive su Twitter Jakub Jaraczewski, coordinatore all’istituto di ricerca Democracy Reporting International ed esperto del tema. In pratica, si tratta del primo caso in cui l’inedita sentenza del Tribunale costituzionale, che ha inasprito i rapporti tra Varsavia e Bruxelles, potrebbe mostrare i suoi effetti concreti.

«È teoricamente possibile che la Polonia si rifiuti di pagare la multa, come del resto già si è rifiutata di sospendere la Camera disciplinare», dice a Linkiesta Daniel Sarmiento, professore di Diritto dell’Ue all’Università Complutense di Madrid. Al momento sembra che Varsavia stia prendendo tempo perfino evitando di aprire il messaggio elettronico che contiene la notifica della multa, riportano alcuni media locali. Una strategia che non può durare a lungo, visto che in caso di mancata apertura, la sanzione entra comunque in vigore sette giorni dopo l’invio.

«All’inizio esiste un periodo di osservanza spontaneo. Se la Polonia non paga, esistono dei meccanismi per ottenere l’importo corrispondente», prosegue Sarmiento. Nei casi di sanzioni pecuniarie a uno Stato membro, quest’ultimo ha l’obbligo di versare alla Commissione il rispettivo importo, che viene iscritto nel bilancio generale dell’UE. Nella pratica, il pagamento avviene tramite richieste specifiche dalla Commissione al Paese in questione.

Se il pagamento non viene effettuato entro un termine stabilito, e dopo aver dato allo Stato membro l’opportunità di fornire una spiegazione, la sanzione pecuniaria deve essere recuperata mediante compensazione con i versamenti destinati al diretto interessato, come confermano a Linkiesta fonti della Commissione europea. «Questo sistema di offsetting, si realizza riducendo l’importo dei fondi europei che spetterebbero a un Paese membro», spiega il professor Sarmiento. «In questo caso, ad esempio, potrebbero essere sottratti dalla quota prevista per la Polonia di uno dei programmi comunitari». 

Il Paese tra l’altro è il primo «ricevitore netto» dell’Ue secondo i dati del 2018: fa parte cioè di quei membri che ottengono dai fondi comunitari più di quanto versano nel bilancio dell’Unione. Per il governo di Varsavia, dunque, non c’è modo di evitare la multa, tranne ovviamente procedere alla sospensione della Camera disciplinare che l’ha originata.

In questo modo, però, l’esecutivo perderebbe la battaglia dialettica con la Commissione e smentirebbe la propria linea sul diritto nazionale di regolare il funzionamento della propria giustizia. Se gli sviluppi del lungo confronto tra Varsavia e Bruxelles sullo Stato di Diritto sono incerti, una cosa, per Daniel Sarmiento è sicura: «La Polonia pagherà».

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