Il mercato delle verità, costruendo i propri fatti alternativi, si pone anche in rapporto conflittuale con il progresso della conoscenza. Uno degli effetti è quello di alimentare il rischio nichilista della post-falsità tipico di quella che Keyes denomina la suspicious society, una società del sospetto nella quale, sapendo che ciascuno costruisce una propria verità, finiamo per non credere più a nulla e non fidarci più di nessuno: «quando dire il falso diventa troppo diffuso e chi mente troppo abile, anche coloro che dicono la verità finiscono per essere sospettati di dire il falso».
A favore di questo rischio, gioca un ruolo perverso la memoria della rete, l’enorme archivio del web, utilizzabile strategicamente per avvalorare, selettivamente, ogni convinzione. Per trovare conferme a fatti inesistenti e per alimentare complotti.
Il che però può comportare non solo la moltiplicazione di universi paralleli chiusi, nel mercato delle verità, ma anche la sopravvivenza di idee e istanze antistoriche, di propaganda di fatti e opinioni non veritieri che così resistono alla falsificazione del tempo.
Come ha scritto Charles Seife: «prima che la Rete rendesse la società interconnessa, era molto più difficile imbattersi in certe idee […] oggi anche l’idea più pazzesca di solito è a pochi colpi di mouse dalla conferma e del rinforzo da parte di una banda di simpatizzanti». L’accesso alla sconfinata memoria del web mette sullo stesso piano ignoranza e conoscenza. Più di trent’anni fa, prima quindi dell’avvento dei social media, in un editoriale su «Newsweek», Isaac Asimov scriveva:
c’è un culto dell’ignoranza negli Stati Uniti e c’è sempre stato. Il flusso di ant-intellettualismo è stato il costante filo rosso che ha avvolto la nostra vita politica e culturale, nutrito dalla falsa nozione che democrazia significhi che «la mia ignoranza è altrettanto valida della tua conoscenza».
Tom Nichols, nel suo recente libro The Death of Expertise, descrive – con un certo allarme – l’avvento di una vera e propria campagna contro l’established knowledge, non solo, quindi, contro l’establishment. La tesi è che la crescente e diffusa protesta contro l’establishment – che molti vedono come caratteristica comune dei diversi movimenti populistici nel mondo – porti con sé anche il più profondo e generalizzato «rifiuto degli esperti», cioè del paradigma della conoscenza cosiddetta mainstream, in base al quale i governi tendono a prendere le loro decisioni.
Il problema della morte dell’expertise, o se volete dei parriastes di cui abbiamo parlato nel terzo capitolo, non sarebbe dato tuttavia dalla nostra ignoranza, ma, per una paradossale inversione della maieutica socratica, «da quello che non sappiamo di non sapere». Nascerebbe, cioè, da un profondo mutamento culturale per il quale non solo non ci fidiamo più degli esperti ma riteniamo che su ogni questione, per quanto complessa, possiamo far meglio da soli.
È il trionfo dell’opinionismo autoreferenziale: riteniamo di avere un’opinione su tutto e per di più siamo convinti sia quella giusta. Si chiama Dunning-Krueger effect, dal nome dei due ricercatori in psicologia della Cornell University che nel 1999 hanno condotto una ricerca empirica secondo la quale la pretesa di non essere uno sprovveduto cresceva al crescere del grado di effettiva sprovvedutezza e di ignoranza.
Il problema più grave, scrive Nichols, è che a suo avviso oggi, addirittura, «siamo fieri di non conoscere le cose… non solo pensiamo che ciascuno sia intelligente e preparato come tutti gli altri, ma crediamo di noi stessi di esserlo più di ogni altro. Eppure, non potremmo essere più lontani dalla verità».
La facilità poi di reperire informazioni in rete (incluse quelle pseudoscientifiche di numerosissimi studi pubblicati su riviste predatorie online prive di affidabili attività di referaggio e controllo) alimenta l’illusione della conoscenza mentre il cercare selettivamente solo ciò che conferma le nostre tesi agisce da ulteriore meccanismo rafforzativo delle nostre convinzioni.
Un recente esperimento condotto da un gruppo di psicologi cognitivi dell’Università di Yale ha mostrato che l’uso di Internet per la ricerca di informazioni alimenta l’illusione della conoscenza, in quanto si tende a credere che tutto ciò che può essere facilmente ritrovato fuori di noi nella rete, sia in realtà un patrimonio acquisito («un partner della nostra memoria»), con un click, dalla nostra mente.
Questo risultato sarebbe così persistente che l’attività di Internet searching finisce per incrementare la valutazione della propria conoscenza anche quando, in effetti, non si è trovata l’informazione che si stava cercando.
L’incapacità di misurare il rischio e di disporre di conoscenze di base adeguate spiegherebbe anche la crescita dello scetticismo nei confronti, ad esempio, della pericolosità del Covid-19, dell’assenza di rischi collegati ai vaccini e dell’esistenza dei cambiamenti climatici.
Nel primo anno della pandemia, abbiamo cercato in fretta risposte di cui ancora non potevamo disporre. Ma questa incertezza, anziché farci apprezzare la fragilità e la potenza del ragionamento scientifico ci ha spinto a domandare certezza e verità semplici da chi si offriva di fornirle. E così, paradossalmente, le notizie false sul nuovo coronavirus hanno risposto a quella domanda di certezza e sicurezza dettata dalla paura, dall’ansia e dalla fretta, cui il ragionamento scientifico non poteva rispondere.
Ma quando gli scienziati non sono in grado di fornirci tutte le risposte è segno che stanno lavorando bene. Secondo verità e coscienza, potremmo dire. Come scrivono i Gorman, «quando si tratta della nostra salute, ciascuno di noi si considera un esperto e quando non conosciamo la causa di qualcosa che ci preoccupa molto, possiamo gravitare in massa verso ogni tipo di proposta».
I Gorman sottolineano che a tutti noi piacerebbe ascoltare un esperto che ci dica «i vaccini non causano l’autismo». E tuttavia è più probabile che, più correttamente, ci verrà detto che «non vi è differenza nell’incidenza di autismo tra persone vaccinate e non vaccinate». Una risposta scientifica che tuttavia può non essere compresa o ribaltata: lasciando aperta la possibilità che autismo e vaccinazioni possano caratterizzare alcune persone, può generare in qualcuno il dubbio che esista non solo una correlazione ma una relazione causale precisa dai secondi al primo. Di qui, a rinunciare alla vaccinazione il passo è breve.
Inoltre, questa sicurezza nella propria conoscenza, unitamente all’ignoranza circa la propria ignoranza, secondo molti studi, finisce per aumentare la dispercezione e la polarizzazione ideologica.
Accade tuttavia un fatto strano. Se, per caso, scopriamo di essere più ignoranti di quel che pensavamo, diventiamo più umili e riduciamo anche il nostro grado di polarizzazione ideologica. Diventiamo più aperti e cresce la disponibilità ad ascoltare chi ne sa più di noi. Nel loro recente libro The Knowledge Illusion, due scienziati cognitivi, Steven Sloman e Philip Fernbach riportano una serie di esperimenti che dimostrano proprio questo fenomeno. Quindi, se da un lato ignorare l’ignoranza ci rende molto assertivi e sicuri di noi, monopolisti nel mercato delle verità, dall’altro scoprire la nostra ignoranza, ci rende meno sicuri e, conseguentemente, più inclini a imparare e ad ascoltare gli altri, specie se più competenti di noi in un certo campo.
Ma il punto che qui ci interessa di più è mostrare una possibile, provvidenziale, reversibilità nel processo che dal mercato delle idee ci conduce al mercato delle verità: la scoperta di quanto non sappiamo (di non sapere).
C’è allora da chiedersi quale sia il futuro della democrazia liberale se la nostra conoscenza di temi, anche decisivi, sui quali esprimiamo il nostro consenso o dissenso per la definizione delle politiche pubbliche, risulta così superficiale e illusoria. E come possiamo uscirne. Come possiamo coniugare la libertà d’espressione con regole che ci consentano di superare la trappola cognitiva del mercato delle verità?
da “Il mercato delle verità. Come la disinformazione minaccia la democrazia”, di Antonio Nicita, Il Mulino, 2021, pagine 240, euro 16