Per arrivare al Bioparco dal chiosco di Ivano bisogna attraversare tutto il Parco dei Daini, percorrere la strada sterrata del viale dei Due Mascheroni, lasciarsi alle spalle il piazzale e il grande Serbatoio dell’Acqua Marcia e poi imboccare il viale asfaltato dei Due Sarcofaghi. Passato il cancello di ferro battuto si gira a destra e si prende il viale dell’Uccelliera fino al piazzale del Bioparco.
Tutta questa strada, sono circa ottocento metri, il commissario Buonvino, dopo aver abbandonato il caffè ancora fumante sul banco di Ivano, la stava percorrendo di corsa. Per fortuna Cavallito, dotato di un fisico atletico, gli teneva testa. Non sapeva nulla di più sull’accaduto, la ragazza di nome Mara era talmente agitata che non aveva detto altro che quella frase, quasi urlata nel cellulare: «Venite subito, c’è un cadavere al Bioparco!»
Eccolo, il cadavere. O quello che ne restava. Si trovava nel posto più strano che potessero immaginare. Non schiacciato dalla zampa di un elefante, non sbranato da un leone o calpestato da un ippopotamo. No. Era nel rettilario. Più precisamente nella teca dove d’abitudine stazionava l’anaconda verde del Sud America, un bestione lungo sei metri. Nella sua gabbia – chiamiamola così –, ora riposava un corpo umano straziato, a poca distanza dal gigantesco serpente addormentato.
Per Buonvino quel caso era già una tortura.
Fin da bambino, infatti, il commissario era gravemente erpetofobico. Provava un sincero terrore, che talvolta sfociava in vere crisi di panico, alla vista di qualsivoglia rettile. Non sapeva con precisione quando aveva iniziato a soffrire di quella fobia. Ricordava soltanto un flash del tempo delle elementari. Un suo compagno di classe, tal Rizzolini, uno di quei bulletti bonsai che non mancano mai, per ridere volgarmente di lui gli aveva scagliato all’improvviso un serpente di gomma sulla faccia.
Il piccolo Giovanni che, seduto al banco, stava pensando ai fatti suoi o forse era nel limbo tra fantasia e assopimento, fu terrorizzato da quella pelle gommosa e viscida che gli piombò tra la bocca e gli occhi. Da allora – anche se forse quella paura era soltanto la manifestazione di un atavico pregresso –, non era più riuscito a sopportare la vista di alcun tipo di rettile, compresi gli innocenti gechi delle case al mare o le dinamiche lucertole che ogni tanto gli si paravano davanti ai piedi.
Buonvino non amava camminare in campagna, e se lo faceva, anche d’estate, indossava sempre scarpe alte e chiuse ed esaminava febbrilmente ogni passo nella sterpaglia. Si era chiesto spesso quale potesse essere la ragione psicologica del terrore che lo prendeva al solo pensiero di incontrare un rettile, fosse anche una biscia.
Aveva concluso che ciò che lo inorridiva dei rettili era la loro – forse apparente – viscidità, la loro natura molle, scivolosa, umida, e poi lo strisciare, celandosi, sapendo mimetizzarsi con i colori della natura, fino all’estremo del camaleonte che cambia colore in relazione alle emozioni che prova.
D’altra parte erano proprio quelle caratteristiche – l’essere mellifluo e il trasformismo – che lui aborriva negli umani. Non a caso di una brutta persona si dice da sempre: «Quello è un serpente», oppure: «È viscido come una biscia».
Ci sarà una ragione, pensava Buonvino, se di quasi tutti gli animali si celebrano le virtù – «forte come un leone», «veloce come una gazzella», «astuto come una faina» – mentre solo i serpenti vengono usati come metro di paragone delle miserie umane. La storia e il linguaggio del mondo, rimuginava Giovanni, non li hanno scritti gli erpetofobici, ma la universale sapienza umana.
Il commissario, sia chiaro, amava immensamente tutti gli animali. Persino i topi, che pure non avrebbe accarezzato volentieri. Ma i serpenti gli facevano davvero ribrezzo. Su internet aveva cercato un rimedio al problema, e aveva trovato una serie di irritanti raccomandazioni rilasciate da una psicologa:
Devi esserti fatto un’idea sbagliata sui rettili. Le tue paure sono ingiustificate. Chiediti cos’è a causare la tua paura quando ne vedi uno. Apparentemente, non hai idea di come i serpenti attacchino e del perché lo facciano. Molto probabilmente non ti piace il loro aspetto, ma in realtà non sei mai stato attaccato da queste creature. Guarda i documentari sui serpenti che vengono girati a scopo didattico: ti aiuteranno a capire alcuni dei punti che influenzeranno il tuo futuro atteggiamento nei loro confronti. Per sopraffarti, prendi un serpente giocattolo e tienilo premuto. Cerca di capire che non ti succede niente di male.
La psicologa non conosceva Rizzolini, era evidente.
da “C’è un cadavere al bioparco”, di Walter Veltroni, Marsilio, 2021, pagine 224, euro 14