Una politica economicamente sostenibile è garanzia per il futuro di tutti e pone limiti invalicabili per irresponsabili politiche di spesa, terreno di caccia per facili consensi. Ed è in primis nei mercati finanziari che si pesa la sostenibilità delle scelte di politica economica degli stati nazione, la loro affidabilità come debitori.
È passato un tempo congruo (9 mesi e mezzo) perché si possa tracciare un primo bilancio rispetto alla valutazione dei mercati del governo Draghi, anche in considerazione dell’iter della sua prima finanziaria, già delineata. Ebbene i mercati dicono incontrovertibilmente sì a Draghi, sì alle scelte del suo governo, a differenza che per i precedenti governi, ed è anche questa una buona ragione perché sia lui a proseguire alla guida del Paese.
La sua politica economica (i) è di rottura con il passato – più attenzione alla sostenibilità del sistema pensionistico, alla concorrenza tra chi eroga servizi pubblici, alla riduzione del costo del lavoro, alla produttività, alla crescita –; (ii) mette all’angolo storiche resistenze di sindacati e partiti; (iii) registra fiducia rispetto a un virtuoso utilizzo dei fondi del PNRR; (iv) è gradita all’Unione europea, alla “sua” Banca centrale europea e, pare, alle agenzie di rating; (v) è gradita ai mercati, elemento irrinunciabile soprattutto per un paese in persistente indebitamento per via di una spesa per interessi superiore alla crescita del Pil.
Il gradimento dei mercati è anche dovuto alla positiva gestione della campagna vaccinale e, naturalmente, alla storia recente di un uomo che ha messo in piedi un sistema di interventi della Banca centrale europea sui titoli sovrani che, salvando gli Stati nazione, hanno aperto la strada ad una maggiore integrazione europea sulla politica di bilancio, fino alla produzione di debito comune.
La forte ripresa della manifattura italiana, inoltre, capace di recuperare i livelli di attività precedenti la pandemia, a differenza di Germania e Francia, è altro elemento dell’effetto Draghi e apprezzato dai mercati.
Prima di inoltrarci nei dati sono necessarie alcune precisazioni, ci sono fattori di politica economica internazionale che condizionano le quotazioni dei titoli di stato – pensiamo agli interventi della Banca centrale europea, ai prezzi delle materie prime, all’inflazione e molti altri – ma questi hanno un impatto simile sui titoli dei Paesi dell’Unione europea e meno condizionano le differenze delle quotazioni dei titoli tra Paesi, legate invece, essenzialmente, alle scelte interne di politica economica.
Certo, i benefici maggiori assicurati all’Italia, alla Spagna, alla Grecia, dai trasferimenti del Pnrr hanno pesato positivamente sulle quotazioni dei titoli di stato di questi paesi, ma questo è effetto scontato dai mercati già nel corso del governo Conte 2, nonostante questo è stato il governo Draghi a ottenere performance migliori sia rispetto agli altri paesi che ai governi italiani che l’hanno preceduto.
Consideriamo dunque andamenti e performance dei titoli di stato, a partire dal 3 febbraio scorso, giorno dell’incarico a Mario Draghi di formare il governo. Analizziamo i rendimenti dei titoli di stato a 10 anni – quelli considerati per calcolare lo spread con i bund tedeschi – la cui quotazione è determinata, nei mercati secondari (le borse) dagli scambi tra investitori e che condizionano il prezzo dei titoli collocati, tramite aste, sul mercato primario.
Precisando che i rendimenti sui titoli di stato in questo ultimo anno sono cresciuti in tutti i principali Paesi – cioè gli stati pagano maggiori interessi ai creditori – tranne che in Cina, per fattori internazionali, ciò che conta per la nostra valutazione è il confronto tra le quotazioni dei titoli tra paesi, nel periodo Draghi.
Bene, in Italia il valore dei titoli è cresciuto meno che negli altri Paesi (Figura 1): nel corso del governo Draghi i titoli italiani hanno ridotto il gap con quelli di Spagna, Francia e Germania e azzerato quello con i titoli UK “Brexit”, che hanno avuto la stessa quotazione media dei BTP italiani (0,77%), quando nel corso di entrambi i governi Conte pagavano di interessi meno della metà dei titoli nostrani (Figura 1). Nel corso del governo Draghi solo in Italia i titoli di stato hanno ottenuto mediamente performance migliori rispetto al periodo del Conte 2.
Uno sguardo alla crescita del Pil prevista dalla Commissione ci dice che Italia e Regno Unito sono affiancate anche su questo indicatore, nel periodo 2020-22 entrambe con un complessivo +1,6.
Considerando la differenza tra le quotazioni del giorno precedente all’incarico a Draghi ed oggi (e non più la media) si evidenzia che la crescita dell’interesse annuale assicurato dai titoli di stato italiani, 0,40 punti, è in linea con la crescita dell’interesse dei titoli di Francia, Belgio e Spagna, superiore a quella della Germania, 0,27, ben inferiore alla crescita degli interessi dei titoli UK, 0,65 punti, e degli altri paesi (FIGURA 2). Più crescono gli interessi dei titoli e più cresce la spesa a bilancio per questa voce.
Nella Figura 3 l’impietoso confronto tra gli ultimi 5 governi rispetto allo spread medio. Nel corso del governo Draghi la differenza con i bund tedeschi è stata pari a 105 punti base. I giorni del governo Conte 1 sono stati i più pesanti per il Paese.
Rispetto al mercato dei futures finanziari – impegni a un acquisto futuro a prezzo prefissato – dall’incarico a Draghi i futures sui BTP italiani hanno avuto performance migliori rispetto ai corrispondenti francesi, tedeschi e britannici. Positivi anche gli andamenti degli indici di borsa nostrana nel periodo di riferimento, a partire dal FTSE AIM Italia delle piccole e medie imprese quotate, a testimoniare la fiducia anche in questo vitale settore in Mario Draghi.
La sensazione è che fino a quando Draghi governerà – e il Paese sarà capace di generare crescita rendendola strutturale con le riforme – il rischio per i nostri bond, e per gli asset italiani in generale, sarà contenuto e il fardello della spesa per interessi, il 3,5 del Pil nel 2020, potrà ridursi. Per i mercati non vi sono altre mani che quelle dell’ex governatore per ben utilizzare i fondi del Pnrr e per preparare il paese a un’eventuale riduzione di impegno della Banca centrale europea sui titoli sovrani.
Draghi con la sua storia e con la sua politica convince i mercati, convince i creditori; della sua insostituibilità in questa fase ora devono convincersi partiti e sindacati.