Pomigliano D’AbbebaL’importanza della guerra civile in Etiopia, spiegata a Di Maio

Mentre il ministro degli Esteri presenta in tutte le tv il suo nuovo libro e tenta di fare qualche sgambetto politico a Giuseppe Conte, in Africa si sta combattendo un conflitto da migliaia di morti che rischia di creare una emergenza migratoria verso l’Italia. Ma al capo della Farnesina sembra non fregare granché

LaPresse

Qualcuno avvisi Luigi Di Maio che è – che dovrebbe proprio essere – il ministro degli Esteri. Ancora una volta se lo è dimenticato. Questa volta non è sulla spiaggia ad abbronzarsi o a chiacchierare con gli amici. Forse solo perché è autunno. Gira come una trottola per gli studi televisivi per presentare il suo insipido libro. Nel tempo che gli rimane scava trappoloni a Giuseppe Conte. 

Il dramma è che invece dovrebbe occuparsi a tempo pieno della guerra fratricida che sconvolge l’Etiopia. Guerra che avrà pesantissimi riflessi diretti sull’Italia, perché ha creato un enorme disastro umanitario che si riverserà sulle nostre coste. Ciononostante, anche se consultate Google, non troverete una parola, una,  di Di Maio sull’Etiopia. Dopo il 21 giugno scorso. Un record di assenteismo. E d’incoscienza.

Nel frattempo, in Etiopia i morti sono migliaia, centinaia di migliaia di profughi, stupri, atrocità da ambo le parti. Il tutto in regioni già in crisi alimentare a causa della siccità straordinaria e delle cavallette. 

Non solo: nelle ultime settimane i ribelli del Tigrè hanno conseguito una serie impressionante di vittorie militari sull’esercito regolare del premier Ahmed Ably e ora sono a poche decine di chilometri da Addis Abeba che intendono conquistare. Se così sarà, l’assedio della capitale sarà un ulteriore massacro. Conseguenza ovvia: dall’Etiopia aumenterà tra poche  settimane la pressione dei migranti irregolari verso il Mediterraneo. Quindi verso le nostre coste. Tanto basta perché Di Maio lasci la promozione del suo libro, prenda un aereo e si unisca all’enorme sforzo diplomatico che i paesi confinanti stanno dispiegando nel difficile tentativo di siglare una tregua. 

Il Nostro probabilmente non sa neanche dove sia l’Etiopia sulla carta geografica. Di sicuro, non sa nulla delle dinamiche di questa guerra civile, così lontana dalla sua amata Pomigliano d’Arco. Nell’attesa che, con pazienza, qualcuno della Farnesina glielo spieghi durante gli spot pubblicitari che interrompono le presentazioni televisive della sua imbarazzante autobiografia gli ricordiamo che, di nuovo, l’Egitto di al Sisi ha molto a che fare con questa catastrofe.

Di fatto, nella primavera scorsa, la crisi etiope è deflagrata con dinamiche tutte interne. L’Etiopia è un paese complesso, con più di 80 etnie, tra queste quella “tigrina” che ha combattuto dal 1974 al 1991 col suo Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè una lunga guerra contro il regime filosovietico del Derg del feroce dittatore Menghistu Ailè Mariam che nel 1974 aveva deposto e poi ucciso il Negus Hailè Selassiè. Sì, quello che ha combattuto contro Benito Mussolini e soprattutto proprio quello di Bob Marley che lo venerava tanto da farne il centro della religione Rasta. Forse a questo, a Bob Marley intendo, Di Maio ci arriva. 

Crollata l’URSS, che anche grazie alle truppe cubane inviate da Fidel Castro era il pilastro che reggeva il Derg e Menghistu, nel 1991 il Fronte di Liberazione del Tigrè prese il controllo del governo di Adis Abeba. In questo periodo scatenò una furiosa guerra con la confinante Eritrea. Nel 2012 però controllo del governo passò alla etnia Oromo che, con l’elezione di Ahmed Ably, riuscì a concludere la pace con l’Eritrea (per questo Ably ottenne il Nobel per la Pace, uno dei tanti stravaganti dati dei folletti politically correct di Oslo che palesemente portano male), ma contemporaneamente ha emarginato e oppresso i tigrini. Da qui la rivolta, con gli eritrei che ora combattono ferocemente al fianco del governo centrale di Ably, i massacri e la catastrofe umanitaria denunciata dall’Onu. Questo in estrema sintesi. 

Dietro tutto questo però vi è anche altro. L’Etiopia è una nazione dalle immense disponibilità idriche ed ha costruito a 15 chilometri a est dal confine col Sudan la Grande Diga della Rinascita Etiope, la più grande dell’intera Africa. Il problema grave è che il  riempimento del suo immenso bacino idrico diminuisce enormemente il flusso delle acque del Nilo Azzurro e del Nilo principale, con danni immensi alla popolazione rivierasca sudanese e anche alla gestione egiziana delle acque del Nilo, fondamentale per l’irrigazione e le coltivazioni del Delta, polmone agricolo fondamentale per l’economia egiziana.

Sinora, sono tutti falliti i tentativi internazionali di comporre il contenzioso tra Etiopia, Sudan ed Egitto sul groviglio di interessi contrapposti che riguardano l’energia elettrica “pulita” prodotta dalla diga ma anche e soprattutto l’enorme capacità irrigua del Nilo a valle.

Di qui, per farla breve, la certezza che dietro la rivolta del Tigrè e il tentativo di abbattere con le armi il governo di Addis Abeba vi sia anche il supporto concreto sia del Sudan, nel quale l’Egitto ha appena favorito un golpe militare, sia del Cairo. Ma l’Italia, con al Sissi ha molte carte da giocare (tranne che sui casi Regeni e Zaki) perché l’Eni è totalmente coinvolta nella scoperta e nello sfruttamento dell’immenso campo di metano Zohr che ha reso l’Egitto energeticamente autonomo proprio quest’anno. 

Ci rendiamo conto che questo groviglio di tensioni e protagonisti sia di difficile comprensione per Di Maio. Ma resta il fatto: l’Italia pagherà un caro prezzo per gli sviluppi della guerra civile etiope. E non sarebbe male se la Farnesina se ne occupasse. Subito.

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