Il campo di battaglia del quale parlano il direttore de Linkiesta Christian Rocca e il direttore di Repubblica Maurizio Molinari è quello vasto, multiforme e rischioso della democrazia occidentale contro i populismi.
Uno sguardo allo scenario mondiale è indispensabile, perché mostra «l’assalto all’Occidente da parte delle autocrazie che oggi ne vogliono l’indebolimento, scommettendo sul fatto che la pandemia non sia sconfitta e che la ricostruzione economica non si compia».
Un campo di battaglia la cui origine Christian Rocca colloca nello scenario politico americano, dove il primo anno di presidenza Biden rappresenta una svolta. Anzi, afferma Molinari, una vera ricetta per battere populismo «deve essere estremamente innovativa, basata sui diritti, sulle risposte alla richieste dei cittadini di fronte ai cambiamenti climatici, alla necessità di politiche del lavoro». Rocca si domanda «se si tratti di un modello esportabile nel resto dell’Occidente, in Europa. Perché qui è in corso uno scontro aspro con le tensioni populiste».
Per il direttore di Repubblica, l’Italia è al centro della battaglia perché è il paese che ha rappresentato, dal 2018 a oggi, un vero laboratorio del populismo nell’Europa continentale.
«Come avvenuto altre volte, gli Stati Uniti hanno aperto la strada», ha detto Molinari. «Tutto deve ancora essere guadagnato e combattuto. Tra i leader occidentali chi ha meglio compreso questa fase è Mario Draghi, che ha fatto suo anche il linguaggio della nuova Amministrazione, riproponendo in chiave italiana ed europea lo stesso approccio, a partire dalla riqualificazione del lavoro, vera chiave per rispondere alle diseguaglianze sulle quali insiste la campagna populista».
Ma c’è un movimento no vax/no green pass che Rocca definisce «molto rumoroso» e di fronte al quale è lecito chiedersi si si tratti davvero de «l’ultima ridotta del populismo».
«Del resto – dice Molinari – l’ultimo miglio della sfida con un’ideologia è sempre il più duro». La pattuglia estremista che identifica il vaccino in oppressione e con questo delegittima la democrazia rappresentativa.
Sul campo di battaglia si gioca anche la partita della ripresa economica e degli assetti istituzionali, con grandi pericoli: «Una parte dei fondi rischia di non essere utilizzata a causa della debolezza della pubblica amministrazione. Due esempi sono i 61 progetti presentati dalla Sicilia e rifiutati da Bruxelles per mancanza di accuratezza e la denuncia del Sindaco di Napoli dell’incapacità della città nel gestire fondi a causa di un’amministrazione rasa al suolo dalla precedente gestione populista».
Condizione nelle quali per fortuna pesa la garanzia di Mario Draghi.
Proprio a questo proposito, Christian Rocca porta l’attenzione sulle incertezze degli assetti istituzionali e politici, dove la prossima elezione del Capo dello Stato si intreccia con la prosecuzione del ruolo di Draghi. Sergio Mattarella afferma di non voler proseguire il mandato e secondo Maurizio Molinari la posizione è motivata da un «profondo rispetto per il dettato costituzionale, da una fedeltà ai principi della carta che significa riportare il Paese su un sentiero di normalità. Nel 2023 verrà eletto un parlamento molto diverso e sta ai partiti di oggi fare le valutazione. Se non dovessero trovare una soluzione sarebbe la dichiarazione di una permanete condizione di emergenza».
Posta la necessità che Mario Draghi prosegua con la sua azione di governo, però, è inevitabile per il direttore de Linkiesta porsi la domanda sull’effettiva possibilità di un partito draghiano. Di sicuro Molinari individua un effetto Draghi sull’intera politica: «Nella Lega e nei Cinquestelle hanno trovato espressione leader moderati, pragmatici. L’acceleratore è la condivisione delle scelte di Draghi nel Governo».
È quindi possibile una trasformazione dello scenario politico? Un nuovo assetto che dia voce alla maggioranza degli italiani antipopulisti? La risposta viene dal recente risultato del voto amministrativo: «Quando la Lega ha presentato candidati inadeguati, gli elettori di centrodestra non hanno votato, mentre e quelli dei Cinquestelle sono scomparsi. Un voto non ideologico, ma per la buona amministrazione».