In primo luogo bisognerebbe lasciar stare Andrea Pirlo, che è stato un genio del calcio, il cui nome è stato inopinatamente fatto da Giancarlo Giorgetti citandolo come esempio di «qualcuno che deve fare gli assist», ruolo che il ministro leghista evidentemente ritiene fatto su misura per lui.
Ciò premesso, le dichiarazioni rese dal “regista” della Lega a Bruno Vespa per il suo annuale bestseller sono come al solito scoppiettanti: ma quanto “vere”? Perché con Giorgetti il problema è sempre lo stesso: quello della sincerità delle cose che dice. E delle finalità per cui le dice.
Dato che proporre l’ingresso della Lega nel Partito popolare europeo, sfidare Salvini a scegliere tra «recitare con Bud Spencer o con Meryl Streep», insomma tratteggiare ancora una volta il “suo” partito come una “Cosa” del tutto distinta e distante dal salvinismo può anche risultare stucchevole perché alla fine, nei fatti, non succede mai nulla di clamoroso: come in quelle feste che promettono fuoco e fiamme ma non ci si diverte nessuno, ci si aspetta ogni volta chissà che terremoto e invece non c’è neppure un alito di vento.
Le parole, quelle sì, sarebbero impegnative: «Il problema è se Salvini vuole sposare una nuova linea o starne fuori. Questa scelta non è ancora avvenuta perché, secondo me, non ha ancora interpretato la parte fino in fondo».
Una «nuova linea»: si conteranno al Congresso, come verrebbe fatto di pensare ad un normale militante di partito? Può essere. E sarebbe interessante veder scendere nell’agone congressuale i Fedriga e gli Zaia: ma lo vedremo, questo scontro? Perché un’altra cosa singolare in questa vicenda è che quando il numero due avanza queste bordate al numero uno, di solito il numero uno s’arrabbia.
E invece niente, la strana coppia lombarda va avanti come se nulla fosse, incedendo di contraddizione in contraddizione senza che di svolte si veda l’ombra.
Ieri, mentre uscivano sulle agenzie di stampa le frasi “europeiste” di Giorgetti, Matteo Salvini andava a omaggiare un uomo sospettato di genocidio come Jair Bolsonaro, il presidente brasiliano al di là del bene e del male al quale il capo leghista ha chiesto scusa a nome degli italiani (ma chi è per farlo?) per le inevitabili polemiche prima a Padova e poi ieri a Pistoia (il sindaco si è giustamente rifiutato di baciare la pantofola del duce di Rio) e dunque non può non sorgere spontanea la domanda: ma questi stanno con il Partito popolare europeo o con Bolsonaro?
Qui non ce la si può cavare con la solita banalità (Giorgetti dixit) delle «diverse sensibilità», perché è ovvio che non si può scegliere contemporaneamente il diavolo e l’acqua santa e dunque il sospetto di un grottesco gioco delle parti viene da sé e rimanda ancora una volta alla questione del trasformismo, o meglio della doppiezza, della destra italiana.
Non si erano ancora spente le polemiche sulle ambiguità di Giorgia Meloni, incapace di estirpare la radice nera del suo partito consentendosi posture ed espressioni come quelle esibite a Madrid davanti ai falangisti di Vox, che si ripropone la questione dell’affidabilità europeista e democratica della Lega, mentre resta in una specie di limbo il dibattito dentro Forza Italia tra amici e nemici dei sovranisti.
Dunque è in gioco la credibilità del centrodestra italiano che continua con i suoi leader di punta a flirtare con Orbán e Bolsonaro, Putin e madame Le Pen, e questo alla vigilia della partita più importante prevista dal nostro ordinamento democratico: l’elezione del Capo dello Stato, un’elezione in cui questo tipo di destra sarà giocoforza determinante.
E, sapendolo, prima Salvini poi Giorgetti, stavolta in sintonia, propongono l’elezione di Mario Draghi. Con l’evidente obiettivo di togliere di mezzo un governo il cui capo ha più volte dato dimostrazione di saper dribblare con la classe di un Pirlo, qui ci vuole, le richieste della destra.
E dunque viva Draghi al Colle con a palazzo Chigi un altro che gli assomigli al punto tale da realizzare – dice l’improvvisato costituzionalista Giorgetti – «un semipresidenzialismo de facto in cui il presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole», vale a dire realizzando una clamorosa riforma costituzionale che nessuno ha deciso («de facto») come se fossimo a Bananas e non in Italia.
Dunque i casi sono solo due, o Giorgetti aspira davvero alla leadership di una “nuova Lega” spodestando il brasileiro Salvini; o siamo alle ennesime prese in giro, al solito “fregolismo” della destra italiana in cui cambiano solo gli abiti ma non il monaco.