Il tema della sanità nella nostra società sarà sempre più importante. Lo dicevamo anche nella primavera del 2020, quando, tuttavia, si sperava, forse un po’ irrazionalmente, che non fosse così, perché la pandemia se ne sarebbe andata in fretta come era venuta, e che di medici e ospedalizzazioni non si sarebbe più sentito parlare.
E lo dicevamo ancora prima, di fronte all’invecchiamento della popolazione e alla sempre maggiore domanda di farmaci e terapie. Ma anche in quel caso per molti erano forse frasi fatte, un po’ come quelle sul mare che invade Venezia e le isole del Pacifico per il cambiamento climatico. Quanti sono veramente convinti di quanto affermano quando parlano di questi temi?
Oggi, però, forse prendiamo più sul serio sia l’emergenza ambientale che quella sanitaria. E capiamo l’importanza di cambiamenti strutturali. Che, ovviamente, sono necessari anche in Italia, soprattutto in un ambito che necessita del lungo periodo, quello del capitale umano.
Perché le risorse finanziarie possono essere aumentate quasi da subito, così i letti e i macchinari possono crescere in breve tempo, ma l’incremento del personale specializzato, il vero cuore degli ospedali, richiede più tempo.
Il numero dei medici di per sé apparentemente non sembra costituire un grande problema. In Italia ve ne sono più che nella maggior parte degli altri Paesi occidentali. Sono 4,05 su 1000 abitanti. Certo, sono meno che in Germania (4,39) o che in Spagna (4,40). E tuttavia quanto a densità di dottori superiamo i francesi, dove sono 3,17 ogni 1000 persone, e gli americani (2,64).
Come per altri indicatori, però, anche per questo nel corso del tempo la crescita è stata particolarmente lenta in Italia.
Fino al 2009 in proporzione agli abitanti c’erano più medici praticanti nel nostro Paese che in Germania e Spagna, ed era più ampia la distanza dal Regno Unito. In 20 anni c’è stato un incremento decisamente più lieve: i dottori italiani sono passati da 3,44 a 4 per 1000 abitanti. Nel frattempo quelli tedeschi sono aumentati da 3,25 a 4,47. Solo in Francia, tra i grandi Paesi, si è assistito a una stagnazione maggiore di quella italiana.
Questo trend è degno di nota per due motivi. Il primo è l’evidente rallentamento della nascita di nuovi medici guarda caso proprio in occasione della crisi finanziaria, che aveva portato a tagli nella spesa sanitaria programmata.
Il secondo è il fatto che l’andamento più lento che altrove di questo indicatore coincide con quello, invece più veloce della media europea, dell’invecchiamento della popolazione. Se il personale medico fosse confrontato non solo con la popolazione totale, ma anche con gli over-65 la posizione dell’Italia in ambito internazionale sarebbe decisamente peggiore.
A proposito di invecchiamento, non è un dettaglio il fatto che i medici italiani siano i più anziani del mondo. Per l’Ocse il 20,9% ha più di 65 anni, il 56,2% più di 55, e solo l’8,8% ne ha meno di 35. Nel Regno Unito i giovani sono invece un terzo del totale. In Spagna, dove pure l’età media della popolazione è simile alla nostra, sono il 21,6%.
Una percentuale di dottori sull’orlo della pensione maggiore che altrove è come una spada di Damocle sul sistema. Significa che nei prossimi anni i medici invece di crescere, come sarebbe necessario, rischiano di diminuire se non vi saranno infornate generose di giovani laureati in medicina. E sarebbe catastrofico.
Ma ugualmente catastrofico sarebbe non incrementare il numero di altri professionisti del settore sanitario, ovvero gli infermieri (e gli Oss specializzati, presenti però soprattutto altrove).
In Italia ce ne sono troppo pochi. Sono 6,16 su 1000 abitanti, mentre in Svizzera si arriva a 17,97, in Norvegia a 17,88, in Germania a 13,96. Solo in una minoranza di Paesi ve ne sono meno che da noi. Tra questi Spagna e Grecia.
Tra le ragioni della penuria, presente e forse futura, di personale sanitario in parte vi può essere l’aspetto salariale.
Che in Italia si guadagni meno che nei Paesi del Centro e del Nord Europa si sa. Il punto è che gli stipendi per medici e infermieri sono più bassi che in Germania, Spagna, Regno Unito, anche se paragonati al Pil pro capite.
Nel caso dei dottori sono 2,4 volte più alti di quest’ultimo, in quello del personale infermieristico sono esattamente uguali al reddito personale medio. Non siamo ultimi, certo, ma nei Paesi più importanti e anche in alcuni di quelli più poveri, come Cile, Costa Rica, Turchia, il rapporto è decisamente più alto.
Sarà anche per questo che ne arrivano molto pochi dall’estero? Tra le ragioni della possibile carenza dei prossimi anni e dell’attuale elevatissima età media della classe medica vi è il fatto che sono solo il 5,65% i dottori che lavorano nel nostro Paese ma si sono specializzati in un altro.
Basti pensare che sono i due terzi in Israele, il 62,2% in Svizzera, il 45,7% in Francia, il 22% in Germania.
Vuol dire non solo che tra chi arriva in Italia da immigrato i medici sono pochissimi, ma anche che quegli italiani che si recano a completare gli studi all’estero poi non tornano, al contrario di quello che fanno per esempio i colleghi israeliani.
È noto il problema dell’emigrazione dei talenti, cui non corrisponde un flusso di immigrati con istruzione equivalente. Anzi, purtroppo i laureati sono una percentuale molto bassa tra coloro che dai Paesi extra europei approdano in Italia. Mentre altre aree d’Europa riescono ad attrarre un più elevato capitale umano. E tutto ciò ha ripercussioni anche sul settore sanitario.
Trovare il modo di aprire le nostre frontiere ai medici del resto del mondo sarebbe già un passo verso il ringiovanimento dei nostri ospedali e un grande aiuto per evitare la crisi che ci aspetta in questo campo. Che sarà ineluttabile, se non vi sarà uno straordinario spostamento di risorse, umane, oltre che finanziarie, verso la sanità. Ce ne dovremo convincere tutti, anche coloro che, comprensibilmente, sono stufi di sentire parlare di Covid, ricoveri e ospedali.