Un’altra Lega è possibile?Lo scontro fratricida tra i leghisti e la possibile terza via di Zaia

Abbiamo letto in anteprima il libro del presidente della Regione Veneto, dove non si nomina mai Salvini: è l’alternativa al populismo sovranista del Capitano?

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Matteo Salvini non è mai nominato, Giancarlo Giorgetti nemmeno. La Lega una volta, di sfuggita. La terza via di Luca Zaia non si fonda sui normali termini del dibattito politico. Questo lascia pensare che il governatore del Veneto non si butterà nella mischia leghista: lui è altrove. Ecco, l’altrove di Luca Zaia è tutto sciorinato in un libro di prossima uscita – “Ragioniamoci sopra. Dalla pandemia all’autonomia” di cui Linkiesta è venuta a conoscenza per capire che cosa pensa un esponente tra i più carismatici di una Lega in evidente crisi di nervi e dalle prospettive politiche nebulose, se non ambigue. Il pragmatismo del governatore si sposa meglio, a occhio, con quello di Giorgetti: ma nessuno sa dire bene che cosa abbiamo di fronte, se prevarrà l’una o l’altra Lega, e anzi nemmeno se ci sarà il botto finale.

È tutto da verificare infatti se siamo di fronte a uno scontro vero, che se fosse tale sarebbe dirompente, da scissione: stare con il Partito popolare europeo oppure con i polacchi-ungheresi non è una robetta (ieri Salvini ha parlato con Viktor Orbán e Mateusz Morawiecki mentre l’altra sera Giorgetti ha preso una pizza con Di Maio, nemico del capo leghista). Oppure se in scena sta andando il solito gioco delle parti tra l’europeista draghiano Giorgetti e il sovranista non draghiano Salvini. Già oggi si sarà qualcosa in più al Consiglio federale riunito a Roma. Ma è certo che lì dentro sta montando un’agitazione con pochi precedenti, ormai anche l’ultimo iscritto avverte come la fase eroica che nei sondaggi aveva portato la Lega al primo posto è lontana, tra il caso Luca Morisi, errori tattici, insidie meloniane e révanches berlusconiane.

In questo bailamme il libro di Zaia si guarda bene dall’entrare nelle dinamiche specifiche del rosolamento a fuoco lento della Lega e in quelle più generali del quadro politico, prospettando invece una lunga serie di riflessioni sull’Italia del post-pandemia mentre la guerra al Covid, di cui egli è stato uno dei protagonisti di prima fila, ancora è lungi dall’essere conclusa. E allora la terza via di Zaia sta dentro il discorso draghiano imperniato sulle riforme possibili grazie alle risorse del Pnrr, in un complicato incastro tra europeismo come scelta acquisita (pensate se Salvini citasse Alcide De Gasperi e Robert Schuman) e forte spinta autonomistica come ricetta antiburocratica e dunque intimamente riformatrice.

Non la facciamo lunga. Diciamo che Luca Zaia potrebbe rappresentare un’ulteriore alternativa al populismo sovranista di Matteo Salvini in un quadro di possibile sganciamento dal centrodestra di oggi egemonizzato dalle istanze più di destra che si possa immaginare, da Orbán a Jair Bolsonaro passando per Donald Trump, Vladimir Putin e Marine Le Pen (finora su Eric Zemmour tutto tace). Il governatore del Veneto ha in grande considerazione Mario Draghi, l’uomo che oggi ha una chance importantissima e irripetibile, quella offerta dal Recovery Plan, una partita di investimenti per il valore di 222 miliardi di euro, certamente un punto di forza, ma subordinato al capitolo dolente delle riforme. È un concetto che allude chiaramente all’idea (auspicio?) che Draghi resti a palazzo Chigi per fare, tra le riforme, quella che il governatore Veneto giudica, come detto, essenziali, l’autonomia regionale come chiave per modernizzare il Paese.

È una strada pragmatica, come l’autore del libro, imbevuta dell’esperienza di governo di una grande Regione come il Veneto. Che è stata una delle trincee avanzate della guerra al Covid, guerra che il governatore vuole vincere andando avanti sulla strada delle vaccinazioni, come il suo collega friulano Massimiliano Fedriga, un altro che pare disallinearsi dal salvinismo. E infatti gira l’ipotesi di una scesa in campo proprio di Fedriga, con il placet di Zaia, come alternativa all’ex Capitano.

Sembra dire, Zaia, che il futuro dell’Italia non sta tanto nella dialettica unta e bisunta tra i partiti e nei partiti ma in una triplice centralità tra Bruxelles, palazzo Chigi e le Regioni. Il buonsenso di un amministratore di successo, se lui volesse giocarsela, potrebbe avere un peso inedito nell’improvviso scontro interno della Lega e magari dare una mano a una idea più concreta di politica. Prevarrà probabilmente la solita ritrosia a dare battaglia e se così fosse sarebbe un’occasione perduta per aprire una strada nuova.

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