OdonomasticaLa grande storia delle vie di Milano

Come si chiamavano un tempo le vie della città, e perché? Dalla Walk of Fame alle strade dei mestieri e degli animali, dalle leggende dei Fiori di Brera alle curiosità delle vie che ancora oggi portano quel nome, un viaggio nella storia

Corso Buenos Aires (Foto LaPresse - Mourad Balti Touati)

Impossibile passeggiare per Milano e non rimanere affascinati dall’eleganza di Corsia del Giardino o dal frenetico via vai di Corsia dei Servi. Fare acquisti in corso Loreto e magari lasciarsi inebriare dal profumo e dalla bellezza dei fiori di via e piazza della Rosa. No, non abbiamo sbagliato città, è sempre Milano. Abbiamo soltanto fatto un salto indietro nel tempo. Corsia del Giardino è quella che oggi si definisce via Manzoni e che, nell’Ottocento, era riconosciuta come una delle strade più lussuose d’Europa, con il suo giardino del palazzo dei Torriani, rivali della famiglia Visconti per il controllo della città. 

Corsia de Servi altro non era che la via più importante del centro di oggi, corso Vittorio Emanuele. Un nome che deriva dal vicino convento dei servi di Maria, che così rimane fino all’Unità d’Italia e che viene citato da Alessandro Manzoni nei suoi Promessi Sposi per «il forno delle grucce», la bottega presa d’assalto dalla folla in tumulto dopo il rincaro del pane e di cui non rimane più niente. Ciò che resta del vecchio nome del corso, invece, è il largo alle sue spalle, Largo Corsia dei Servi. Un piccolo passaggio che nasconde una curiosità: qui si trova una sorta di Walk of Fame hollywoodiana, ma tutta milanese, con le impronte e le firme nel cemento (originali) di Patrick Swayze, Sylvester Stallone, Sharon Stone, Sophie Marceau e molti altri ancora.

Corso Loreto: oggi non esiste più ma indovinare, in questo caso, non è difficile. Un tempo si chiamava così l’attuale Corso Buenos Aires, la via dello shopping, battezzata con il nome che porta ancora oggi nel 1906 in occasione dell’Expo, quando si voleva promuovere un’immagine internazionale della città, all’epoca sede dell’esposizione internazionale. 

Via e piazza della Rosa sono invece i nomi antichi delle attuali e centralissime via Cantù e piazza Pio XI. Da quelle parti – non troppo distanti dai banani di oggi di piazza Duomo – crescevano le rose, almeno così si racconta. Nell’attuale piazza Pio XI inoltre sorgeva una chiesa, poi demolita nei primi anni del 1800, S.Maria della Rosa. Probabilmente il nome della strada (e della piazza) era dedicata alla chiesa stessa.

Le vie di Milano sono infinite e l’origine dei nomi attuali delle strade dove passiamo tutti i giorni è davvero curioso. L’epoca romana ha lasciato il segno, molte vie sono poi dedicate ai santi (tra le più note nella toponomastica milanese). Naturalmente ai nobili e alle relative famiglie, ai “grandi” della città o dell’Italia (Garibaldi, Verri, Sforza e così via). Ci sono gli avvenimenti che hanno letteralmente fatto la storia, come piazza Cinque Giornate, piazza della Repubblica, via della Liberazione. 

Altre vie sono rivolte ai mestieri degli abitanti della città: Spadari, Speronari, Orefici, Fabbri, piazza dei Mercanti, via dei Berettari che poi diventa dei Cappellari. Oppure, ancora, tra le vie che non ci sono più, Contrada dei Borsinari e dei Profumieri, entrambe sull’attuale area di Piazza Duomo e poi cancellate con la ristrutturazione della zona voluta dall’Unità d’Italia. Un salto temporale ci porta ai nomi di oggi a cui, recentemente, Milano ha dedicato uno spazio della sua città: piazza Gae Aulenti, via Mike Bongiorno, via Giorgio Gaber, il parco Franca Rame, il giardino pubblico Sandra Mondaini e Raimondo Vianello in via Ugo Tognazzi.

Nel caso di animali e piante, invece, per la maggior parte, l’origine è ancora incerta. Nel cuore del centro storico si trova via Agnello, e al civico 19 della via c’è un bassorilievo che raffigura lo stesso animale. A Milano poi c’è via del Gallo, piazza delle Galline, via del Leoncino, vicolo delle Quaglie. Oppure, ancora, via Lupetta, da Contrada della Lupa, che era il nome antico di un tratto dell’attuale via Torino. 

Dalla fauna alla flora. In zona Brera tutti sappiamo di via dei Fiori Chiari e di via dei Fiori Oscuri, molto probabilmente dal colore dei fiori degli stemmi dei sestieri di riferimento (uno rosso e uno nero), ma ci sono anche le versioni meno accreditate che, naturalmente, ci piacciono di più. Secondo la leggenda in via dei Fiori Chiari sorgeva un collegio di fanciulle “pie e vergini”, ovvero pure e caste come dei fiori chiari, mentre nella vicina Fiori Oscuri vi risiedevano donne, pur sempre dei fiori, ma di malaffare o prostitute impegnate nel loro frequentatissimo bordello. In una traversa di via Brera c’è poi via Melone, vicino all’arco di Porta Ticinese c’è via Sambuco e naturalmente nel quadrilatero della moda tutti passiamo per ammirare le vetrine di via della Spiga. Ancora via Pioppette, via Vigna, via Rovello (dai rovi presenti nel passaggio), via delle Erbe (siamo a Brera) per via del mercato che qui si teneva fino all’Ottocento.

Anche il dialetto ha segnato le mappe della città. Da piazza San Babila si raggiunge via Bagutta, da “bagà”, con cui si intende, in dialetto milanese, chi beve di gusto. Via Chiossetto, di fronte al Palazzo di Giustizia, sembra derivare dal milanese “ciusset”, termine per indicare una via stretta e brutta (oggi invece è deliziosa). Le “foppette” sono invece i piccoli fossi creati nella zona dal Lambretto quando straripava durante le piogge (via delle Foppette si trova in zona Tortona). Via della Maggiolina deriva dal nome di una cascina lì presente, nominata così per via della coltivazione delle fragole, “magiuster” in dialetto milanese. 

Ed è sempre il dialetto che ci porta a un’ultima curiosità, decisamente degna di nota, nei pressi di Lanza. Quella che oggi è via San Carpoforo un tempo era Contrada dei Tetti, per via dei tetti delle case senza finestre che si notavano passando dalla strada. Dov’è la nota curiosa? Alcune mappe della città segnalavano la via in questione con la dicitura “Contrada delle Tette”, a causa dell’ambiguità dell’espressione dialettale, “Contrada de tett”, che può richiamare entrambi i significati. Oppure perché quelli erano i tetti senza finestre delle case chiuse dell’epoca, almeno questo secondo i soliti malpensanti (i nostri preferiti).

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