Campo strettoL’operazione Ulivetto non decolla e adesso il Pd corteggia Calenda

Con Letta alla guida, i democratici sono più uniti al loro interno, ma fanno fatica a trovare sostegno all’esterno. Il Movimento 5 stelle è sempre più debole e l’ultima idea è un accordo anti Renzi con Azione (ma Calenda non ci sta)

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Se ha un senso l’adagio per cui il nemico del mio nemico è mio amico, allora si spiega perché al Partito democratico Carlo Calenda stia tornando simpatico. Le bordate di quest’ultimo a Matteo Renzi dopo la Leopolda hanno fatto drizzare le antenne al Nazareno a caccia di rami da innestare su un Nuovo Ulivo che non decolla, senza contare il piacere quasi fisico che i dem hanno provato nel vedere l’ex segretario fiorentino bersaglio di mille frecce che nemmeno San Sebastiano: il riff renziano «il tempo è galantuomo» stavolta lo suona un esponente dem di prima fila.

Perché è chiaro che Renzi alzando il ponte levatoio abbia tolto un peso dallo stomaco dei dem che non hanno più questo problema tra i piedi, e le liti tra riformisti non possono che far piacere a un Partito democratico spostato a sinistra come nell’edizione lettiana.

E però Calenda lo vogliono, al netto del fatto che con lui il Partito democratico già si è scottato le mani una volta, anche perché sarebbe un’ottima copertura “a destra”. Spiega a Linkiesta Emanuele Felice, testa d’uovo della sinistra orlandiana: «Nel Nuovo Ulivo possono venire Calenda e Bonino: la gamba liberal-democratica sono loro. Come liberal-democratici sono più credibili di Renzi, compromesso ormai dopo i rapporti con i sauditi e la commistione tra affari e politica. Su questo, giustamente, anche Calenda è molto critico. Oltretutto, Renzi ormai è talmente inviso che, alleandosi con noi, penso siano più i voti che farebbe perdere che quelli che porterebbe in dote».

Esponenti dem di diverse aree sostengono che Letta e Calenda (e Più Europa) abbiano già stretto un accordo per isolare Renzi, giudicato unfit, e sgonfiare come un palloncino le sue velleità neocentriste.

Ma il leader di Azione smentisce tutte queste voci: «Non parlo con Letta dal giorno delle discussioni sull’ingresso del Movimento 5 stelle nel gruppo dei socialisti europei». La strada di Carlo Calenda, curiosamente, assomiglia a quella di Renzi: si tratta di scalare una montagna praticamente da soli. Senza incontrarsi. Come ha fatto a Roma vuole fare in Italia, il leader di Azione, in un percorso fatto al 99% di contenuti e all’1% di discorsi sulle alleanze. Resisterà alle sirene nazarene quando si avvicineranno le elezioni, quando si faranno le liste?

Da parte sua il Partito democratico, come detto, è in affanno nella costruzione del “campo largo”. L’operazione non decolla, l’unico compagno di strada resta sempre Bersani: non un granché.

Dicono che le Agorà stiano andando bene ma probabilmente stanno funzionando più per i militanti che per gli esterni: a meno che non sia colpa dei soliti mass media se non ne parla nessuno.

Un Partito democratico più unito al suo interno, almeno finché le cose vanno bene, è certamente un risultato di Letta ma il problema continua a essere fuori dalle mura del Nazareno. In questa situazione il gruppo dirigente non intende certo rinunciare all’intesa con il Movimento 5 stelle per la buona ragione che comunque porta voti importanti – il discorso è molto, diciamo così, pragmatico – senza i quali la partita nemmeno comincia.

I problemi però sono due: il primo, che Conte sta facendo perdere consensi al suo partito; secondo, che la sdrucita truppa grillina resta incontrollabile, inaffidabile, imprevedibile. Ma che alleato è questo? E infatti quello dell’intesa con i grillini resta per Calenda un problema insormontabile: finché restano gli alleati, con il Partito democratico niente accordi. Anche qui curiosamente, è la stessa posizione di Renzi: né con i populisti né con i sovranisti.

La preoccupazione sulla tenuta del Movimento 5 stelle, va da sé, richiama subito la grande partita del Quirinale. Il ragionamento che si fa al Nazareno è chiaro: il Partito democratico punta a vincere, o con un esponente a lui vicino (vittoria piena) o con un candidato unitario (pareggio). Lo spettro di Silvio Berlusconi, o Marcello Pera o Gianni Letta al Colle agita i sonni del segretario del Partito democratico, che finirebbe travolto da un’evenienza del genere.

Ma la cosa migliore è adoperarsi per ripescare la possibilità che Sergio Mattarella accetti una rielezione. Di qui l’astuzia nazarena nel presentare un ddl costituzionale che escluda la possibilità di rielezione (futura) del Capo dello Stato, un modo per riconoscere le ragioni dell’attuale Presidente in cambio di un suo nuovo mandato.

Sembra un escamotage piuttosto debole. In questa situazione, Letta resta copertissimo, e si comprende. Ma rischia di essere battuto sul tempo dal movimentismo di Renzi che potrebbe intestarsi la soluzione di quello a tutt’oggi appare un rebus impossibile. E come cantava Guccini, per il Partito democratico sarebbe una morte un po’ peggiore.

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