La storia del Partito Radicale dal 1955 al 2013, scritta da Gianfranco Spadaccia e pubblicata da Sellerio, è un libro molto personale, che nasce da una esigenza avvertita dall’autore come una mancanza oggettiva e una responsabilità soggettiva: la mancanza di una vera storia radicale, cioè di un libro che metta in ordine le vicende del partito che è stato, indiscutibilmente, di Pannella, ma non solo di Pannella; e la responsabilità di provvedervi da una posizione particolare e scomoda, quella di personaggio eminente della storia raccontata.
Il libro inizia da un ricordo personale: la pubblicazione sul Mondo, nel 1955, dell’elenco dei promotori del Partito radicale, tra cui compariva proprio il ventenne Spadaccia, accanto ad alcuni padri nobili della sinistra liberale e della cultura azionista e insieme a molti dirigenti ed ex dirigenti dell’Ugi (Unione goliardica italiana), tra cui il venticinquenne Marco Pannella.
Da questa memoria si dipana una cronologia fittissima e spesso nudamente cronachistica: elenchi di nomi, di luoghi e di eventi, accompagnati da alcune impressioni, in genere poco più che abbozzate.
Spadaccia corrisponde insomma a questa urgenza e provvede a questo compito di raccontare la storia radicale senza la pretesa di imporre una lectio storiografica, ma con un metodo quasi annalistico e con un impegno documentario scrupolosissimo (assolto anche grazie alla preziosa collaborazione di Silvja Manzi).
Così emergono ed escono alla luce volti e personalità radicali note e meno note, ma essenziali per ricostruire il senso di una storia complessa, che in modo troppo sbrigativo la vulgata giornalistica riduce esclusivamente alla biografia politica pannelliana.
Ne viene fuori una immagine del Partito radicale lontanissima da quella di una mera propaggine organizzativa del leader carismatico o di una setta (altro stereotipo antipatizzante, usato contro i radicali), unita da rapporti di fedeltà e devozione personale e dilaniata da rivalità e inimicizie altrettanto personali.
La storia radicale infatti è stata, sia al proprio esterno che al proprio interno, una storia di rotture con fortissime motivazioni politiche e di polemiche che si possono considerare spesso eccessive, ma raramente pretestuose.
Lo scandalo che ripetutamente i radicali hanno rappresentato nella politica italiana si è riprodotto anche negli scontri interni al partito, che negli anni hanno allontanato definitivamente o temporaneamente da Pannella praticamente tutti i padri della storia radicale, compreso Spadaccia, con pochissime eccezioni: Angiolo Bandinelli e Sergio Stanzani, quelle più note.
L’imprinting – questo sì, specificamente pannelliano – della politica come forma di vita e della coincidenza tra passione e militanza ha sempre fatto sì che fra i radicali le divisioni politiche sfociassero in dissidi personali e ha reso impossibile separare le une dagli altri; ma dietro ogni eresia – posto che quella pannelliana potesse qualificarsi sempre come una ortodossia – si esprimeva una differenza politica autentica, una vera diversità di visione e di prospettiva.
Il fatto è che quello radicale, come diceva Pannella un po’ attingendo e un po’ facendo il verso al lessico gramsciano, è stato certamente un “intellettuale collettivo”, ma non nel senso leninistico del termine, bensì in quello individualistico di un insieme di personalità, spesso di fortissima caratura culturale e intelligenza politica, unite da un obiettivo comune, ma molto gelose della propria autonomia e delle proprie idee.
Questo scontro incandescente di figure e di caratteri ebbe inizio nel primo Partito radicale (1955 – 1963), quello a leadership non pannelliana, ad esempio con il contrasto violentissimo tra Mario Pannunzio e Ernesto Rossi sul caso Piccardi ed è proseguito fino alla morte di Pannella e anche in seguito, con quella sorta di sfratto politico e simbolico di Emma Bonino dalla sede storica di via di Torre Argentina (episodio assente nel libro, che si ferma al 2013, tre anni prima della morte di Pannella).
La partizione del libro segue la cronologia delle vicende radicali secondo un ordine tematico abbastanza canonico e coerente con l’autorappresentazione della storia radicale fatta più volte dallo stesso Pannella: la stagione del Mondo; quella dei diritti civili; la prospettiva dell’alternativa di sinistra e l’opposizione all’unità nazionale e al compromesso storico; la battaglia internazionale per i diritti umani e il passaggio al trasnazionale; la lotta per la giustizia giusta e la riforma antipartitocratica del sistema politico e delle istituzioni; la diaspora radicale, l’attraversamento della Seconda Repubblica e i rapporti con Berlusconi e con Prodi.
Infine c’è la fase più evidentemente profetica e (termine che Spadaccia rifiuterebbe) post-politica della leadership pannelliana, con le battaglie sui diritti dei detenuti e per il diritto alla conoscenza e la denuncia del cuore della crisi democratica nazionale e internazionale – poi sfociata nel trionfo populista e sovranista – nel ripudio dei fondamenti dello Stato di diritto e del principio del “conoscere per deliberare” da parte delle cosiddette élite democratiche.
Dopo la morte di Pannella, l’area radicale si è suddivisa in una pluralità di sigle e organizzazioni (il Prttn, Radicali italiani, Associazione Luca Coscioni, Nessuno Tocchi Caino, Non c’è pace senza giustizia…) ostili e non comunicanti, che già nell’ultima fase della vita di Pannella erano ormai prive di un punto di unità e che rendono quindi molto ragionevole la scelta di Spadaccia di concludere la sua ricostruzione storica in una data anteriore a quella della definitiva conflagrazione della “galassia radicale”.
Questa scelta ha comportato inevitabilmente il sacrificio del racconto e dell’analisi sul rapporto tra i radicali (e Pannella) e i fenomeni populisti e sovranisti che hanno caratterizzato la politica interna e internazionale dal 2013 in poi, ma in una appendice che chiude il libro e che è dedicata proprio alla «peste italiana» – come Pannella definiva la potenza contagiosa della degenerazione partitocratica – Spadaccia mette in guardia dal rischio di riconoscere nel populismo grillino un compagno di viaggio o un continuatore della lotta radicale contro la partitocrazia, per la legalità e lo stato di diritto.
Rischio che avverte incombente in una parte di quel che rimane oggi del mondo radicale organizzato, del quale Spadaccia denuncia, in tutte le sue componenti, «confusione di linguaggi e povertà di idee» che «in alcuni si manifesta con una fedeltà solo letterale alle analisi e ai giudizi del passato fino a volte a diventare fideistica, e, in altri, all’opposto, in una pericolosa deriva anarchicheggiante che sostituisce il rigoroso ancoraggio ai principi liberaldemocratici, che ha caratterizzato il nostro libertarismo in tutta la storia radicale».
Nel complesso, si può dire che dal libro di Spadaccia esca fuori una storia al plurale, molto più complessa di come è stata finora rappresentata e molto più popolata di quanto continua ad apparire ai più un partito sempre oscillante tra la vocazione minoritaria e solitaria e le ambizioni maggioritarie del suo leader. Questo è forse il contributo più prezioso che il volume offre rispetto a una materia giornalisticamente molto equivocata e storiograficamente, per la stessa ragione, ingiustamente negletta.