La Lega è entrata in crisi. Una crisi prettamente politica che si squaderna dinanzi alla difficoltà di stare in un governo a trazione riformista, trazione data dal presidente del Consiglio con l’ovvio consenso del Partito democratico, Italia viva e il non pervenuto del Movimento 5 stelle guidato (si fa per dire) da Giuseppe Conte. Un governo che – prendiamo gli ultimi due giorni – sigla un patto storico con la Francia dell’europeista Macron e approva una delega fiscale che abbassa le tasse al ceto medio, disegnando quella che sarà l’ossatura della riforma fiscale, è un governo che cambia le cose presenti: e in senso opposto ai capisaldi della Lega salviniana, sovranismo e ingiustizia sociale.
Il Trattato del Quirinale (che imbarazzo per quel Di Maio che andò a incontrare il fabbro Christophe Chalencon, quello che voleva sfondare il grande cancello dell’Eliseo e oggi è costretto a fare i salamelecchi all’inquilino del medesimo Eliseo) rappresenta un importante passaggio della stagione europeista, esattamente il contrario della ideologia di Salvini, l’uomo politico italiano più refrattario ai valori liberali, europeisti e progressisti che insieme formano l’impasto del macronismo, che con il draghismo è oggi la colonna dell’Europa, in attesa che arrivi Olaf Scholz oggi gravemente alle prese con la recrudescenza della pandemia.
Quanto al fisco, la Lega ha apposto la firma a una legge delega fondata sulla progressività e non sulla iniqua follia della flat tax. È stata costretta a farlo. Come in molti altri passaggi. La faccia feroce sugli immigrati non si scorge più. L’esaltazione del Far west e del diritto a farsi giustizia da sé è sparita dai radar. In generale, la Lega è lenta, mentre la concorrente Meloni è più lesta ad alzare polveroni (fino al cinico ondeggiare sulla questione dei vaccini, sempre tentata dal voler assicurarsi i voti dei No vax). È dunque Matteo Salvini non sa dire altro che «stiamo pagando la scelta di entrare nel governo»: una frase di un uomo stanco, che vorrebbe essere altrove, che ha smarrito la strada. E che, per dirne un’altra, sul Quirinale non ha carte da giocare, a destra il territorio è presidiato da Silvio Berlusconi, la Lega sarà uno dei partiti che meno conterà nel big match quirinalizio.
Il famoso congresso slitta, non si è mai saputo nulla delle procedure democratiche che dovrebbero regolare la dinamica congressuale, né è chiaro se e quando si farà. Forse sarebbe stato un appuntamento per il Capitano (o ex Capitano) non trionfale, data la forza che stanno acquisendo i governatori e segnatamente Massimiliano Fedriga che, in qualità di Presidente della Conferenza delle regioni, è stato pubblicamente ringraziato da Mario Draghi per il suo ruolo costruttivo nella campagna contro il Covid. Fedriga, dunque, e con lui Luca Zaia (buono il suo libro, ne abbiamo scritto qui), e altri amministratori locali, gente che fa i conti con i problemi reali tutti i giorni, altro che Far west e immigrati. E c’è sempre lo spettro di Giancarlo Giorgetti a turbargli i sonni.
Sì, il capo della Lega ha perso la Bestia di Morisi ma anche quel fiuto che aveva innalzato la Lega al primo posto nei sondaggi, poi superata da Fratelli d’Italia e anche dal Pd, e ora Salvini lo si sente di meno, gira poco, non fa notizia. Ed è un bel problema, per uno come lui.