«Ciao a tutti, sono Mario, non ho più parole per quanto sta accadendo… Quello che mi sta facendo più male è che mi stanno uccidendo dentro, nell’anima, psicologicamente mi stanno svuotando ma quello che è peggio e che i responsabili sono le persone che fanno le leggi e ci chiedono a noi cittadini di rispettare, sono loro i primi a non rispettarle».
Mario (nome di fantasia), 43enne tetraplegico e immobilizzato a letto da più di dieci anni, torna a scrivere alla Stampa per chiedere di sbloccare la situazione di stallo che si è creata sul suo caso. Sono passati 16 mesi da quando ha chiesto di mettere fine alle proprie sofferenze con il suicidio assistito. Dopo un anno di attesa, ad agosto ha scritto la prima lettera alla Stampa per chiedere allo Stato di intervenire, perché quel diritto di morire – sancito dalla Corte costituzionale – non gli veniva garantito. Rispose il ministro della Salute Roberto Speranza, assicurando il suo appoggio. Poi a novembre il Comitato etico delle Marche ha riconosciuto a Mario i requisiti per ricevere il farmaco letale. Ma sulla scelta del farmaco si è di nuovo fermato tutto. Tanto da costringere Mario a denunciare Comitato etico e Asl delle Marche per «tortura».
Nel frattempo, il Parlamento ha rinviato a data da destinarsi la discussione della legge sul suicidio assistito. E si attende la decisione della Consulta sull’ammissibilità del referendum che depenalizzerebbe l’eutanasia.
In mezzo a leggi ferme e carte bollate, però, Mario continua ad aspettare. «Mi sento tradito dallo stesso Stato ed è gravissimo il loro comportamento, io ho fatto tutto e di più nel rispetto delle regole e in questi 16 mesi ho dato tutto me stesso, andando sopra le mie possibilità, sopportando dolori, stanchezza fisica e mentale», scrive. «Non cerco pietà vorrei solo che mi fosse riconosciuto un diritto a me concesso dalla Corte Costituzionale. Finora è stata messa in scena una farsa, con protagonisti Asur, Comitato Etico e ministero della Salute, che hanno il potere di agire ma non lo fanno. Non mi serve la solidarietà di quei Ministri e Parlamentari, che in tv o sui giornali mi accarezzano, ma a microfoni spenti mi stanno torturando. Abbiate il coraggio di dirmi “Caro Mario per noi puoi continuare a soffrire”».
E continua: «Io vorrei solo avere la possibilità di porre fine alle mie sofferenze nel mio Paese all’interno del servizio sanitario nazionale premendo quel bottone, addormentarmi senza soffrire e morire nel modo più dignitoso possibile per me e i miei cari. Questa non è la battaglia di Mario e non sarà la vittoria di Mario, semmai sarà la vittoria di tutti, iniziata da Piergiorgio, portata avanti dall’Associazione Luca Coscioni, da Mina Welby, Marco Cappato, Filomena Gallo, Fabiano Antoniani, Davide Trentini, da tutti quelli che nel silenzio e nell’indifferenza dello stato ci hanno lasciato soffrendo o costretti ad esiliare all’estero».
Poi l’ultimo appello: «Sono allo stremo delle forze fisiche e mentali e spero che quando qualcun altro deciderà di ripercorrere la mia strada i tempi saranno cambiati, perché vi giuro un malato grave non può e non deve aspettare 16 mesi, è inaccettabile e di una crudeltà inaudita».
Sono passati 15 anni dalla morte di Piergiorgio Welby, ma la battaglia per l’eutanasia legale dell’Associazione Luca Coscioni è tutt’altro che conclusa.