Il listone dei dischi che mi sono piaciuti quest’anno non coincide perfettamente con quello delle canzoni che ho ascoltato di più nel 2021. La differenza la fanno i grandi classici, Staying Alive dei Bee Gees (chissà perché), Ci abbracciamo di Vasco Brondi (l’ottava canzone che ho ascoltato di più quest’anno), Voce e Musica Leggerissima da Sanremo, i Genesis e il brit pop di Oasis e Smiths (Don’t look back in anger, wonderwall, There’s a light that never goes out).
In totale, dice Apple Music, pare che io abbia ascoltato 715 ore di musica in streaming, 1526 artisti e un totale di 588 album.
Ho ascoltato 21 ore di Neil Young, 19 di Bob Dylan, 18 dei Genesis, 12 di Lana Del Rey, 9 ore di Joni Mitchell, di Sufjan Stevens, di Bonnie “Prince” Billy, degli U2 e dei Felice Brothers, 8 di De Gregori, di Taylor Swift, di Matt Sweeney e dei Marillion.
Il podio dei brani più ascoltati nell’anno è composto da Inferno dei Felice Brothers, Reach Out di Sufjan Stevens e Angelo de Augustine e Hurt di Arlo Parks.
I primi tre album che ho ascoltato di più, invece, sono Superwolves di Matt Sweeney e Bonnie “Prince” Billy, Springtime in New York di Bob Dylan e A beginners mind di Sufjan Stevens e Angelo de Augustine (all’ottavo posto c’è inaspettatamente il capolavoro Wrecking Ball di Emmilou Harris del 1995, prodotto da Daniel Lanois).
Questo dice l’algoritmo, ora vediamo quali sono davvero i venti dischi notevoli del 2021.
Valerie June
The moon and the stars
Cantautrice e chitarrista di Memphis, Valerie June ha messo in fila una dozzina di canzoni soul, blues, pop da lasciare senza fiato.
Arlo Parks
Collapsed in sunbeams
Vero nome Anaïs Oluwatoyin Estelle Marinho, 21 anni, Arlo Parks è la rivelazione dell’anno, voce della sua generazione e tutte le etichette che si usano in questo casi. Influenzata dai Portishead, ma anche dai Radiohead, Arlo Parks è sulla scia dei rivitalizzatori dell’R&B, con melodie irresistibili e testi generazionali.
The Felice Brothers
From Dreams to Dust
I due fratelli Felice, assieme agli amici Jesske Hume al basso e Will Lawrence alla batteria, sono da anni il gruppo più entusiasmante che non avete mai ascoltato. Sintonizzati sulla modulazione della Band, il gruppo newyorchese ha sfornato un’altra serie super canzoni, specie quelle scritte e cantate da Ian Felice, a cominciare da Inferno (su quella volta che cercò andare a vedere Fight Club al cinema, ma lo spettacolo era esaurito e vide invece Inferno con John-Claude Van Damme) fino a Valium, Jazz on the autobahn, We all shall live again.
Big red machine
How long do you think is gonna last?
Il disco gemello di Folklore di Taylor Swift, ma a nome del gruppo formato da Aaron Dessner dei National e Bon Iver, i due che l’anno scorso avevano trasformato Taylor Swift in icona indie. Compare anche Taylor, ovviamente, in due brani, ma anche Anaïs Mitchell, Sharon Van Etten e i Fleet Foxes.
Matt Sweeney e Bonnie “Prince” Billy
Superwolves
Bonnie “Prince” Billy e Matt Sweeney hanno riesumato la loro collaborazione del 2005, con la magica conversazione tra la voce di Will Oldham (vero nome di BPB) e la chitarra di Sweeney.
Joan as Police woman, Tony Allen & Dave Okume
The solution is restless
Una cantautrice americana incontra il maestro del ritmo afroabeat e un musicista e produttore austriaco di talento. Si vedono a Parigi, improvvisano e registrano una specie di versione dei nostri tempi di What’s going on di Marvin Gaye. Joan Wasser, vero nome di Joan as Policewoman, ha assemblato le registrazioni durante il lockdown di New York e dopo la morte di Tony Allen. Un disco bellissimo, con The Barbarian colonna sonora di questi tempi impazziti.
Marissa Nadler
The path of the clouds
Da anni, Marissa Nadler è una cantautrice avant-folk irresistibile. Il suo nuovo disco è una specie di podcast dedicato ai misteri irrisolti di cronaca nera. Un album a metà strada tra Sufjan Stevens e Lana Del Rey (“Bessie Did You Make It?”), con richiami ai Pink Floyd più introspettivi (“The path of the clouds”).
Sufjan Stevens & Angelo DeAugustine
A beginner’s mind
Non è il più bel disco di Sufjan Stevens, qui assieme al cantautore Angelo DeAugustine, ma i dischi di Sufjan sono tutti bellissimi. Dopo aver scritto le canzoni per Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino ed essere ospitato in decine di serie tv con le sue canzoni, Sufjan Stevens ha convinto l’amico DeAugustine a scrivere quattordici canzoni ispirate ad altrettanti film, da Point Break a Hellraiser, da Mad Max al Silenzio degli innocenti a Eva contro Eva.
Lana Del Rey
Chemtrails over the Country club
Blue Banisters
Nel 2021, Lana Del Rey non ha fatto un solo grande album ne ha fatti addirittura due, uno a marzo e uno a ottobre. Chemtrails over the Country club è il migliore dei due.
Julien Baker
Little Oblivions
Terzo album della cantautrice di Memphis, nata nel 1995, sopravvissuta a una comunità religiosa, a dipendenze, ad abusi e ad estenuanti autocritiche personali sintetizzate in versi come «Nobody deserves a second chance, but honey, I keep getting them».
Deb Never
Where all the flowers have gone
Giovane cantautrice pop losangelina, con la prima canzone del disco, Stupid, palesemente ispirata a Creep dei Radiohead («I’m so stupid, I can’t get through this, And I feel you in my bones, I’ll be searching for your ghost»), ha catturato l’attenzione. Con Funky ha vinto.
Manchester Orchestra
The Million Masks of God
Indie rock sinfonico, ma anche folk, da riempiere le arene quando mai torneremo a riempire gli stadi per assistere a un concerto. Un gruppo di Atlanta con una propria idea di grandeur musicale.
Elbow
Flying dream 1
Il disco prog rock, alla Talk Talk, degli Elbow. Basta, no?
The war on drugs
I don’t live here anymore
Il quinto disco dei War on drugs è un’immersione nel rock di una volta, una collezione di canzoni rock ispirata a Bob Dylan, Bruce Springsteen, Tom Petty, ai Rem, agli U2, ma anche a Phil Collins, agli Eurythmics, a Bryan Adams. I brani pouù belli sono il primo e l’ultimo, Living Proof e Occasional Rain.
Mogwai
As the love continues
Pitchfork ha scritto che le melodie dei Mogway suonano sempre come un elogio a qualcuno che non si è mai incontrato. La definizione è abbastanza precisa, come conferma questo decimo album della band scozzese, tra i più belli della loro carriera ormai lunga 25 anni.
Hold steady
Open door policy
Sestetto di Brooklyn all’ottavo album, gli Hold Steady sono una rock band a metà tra Springsteen e Lou Reed, con influenze degli Husker Du, dei National, molto anti Trump.
Curtis Harding
If words were flowers
Soul, R&B, funk rock, jazz, gospel, rap, pop e tutto quello che sta in mezzo. Musica del passato e musica del presente, perfetta per colorare le sigle della prossima super serie tv.
Neil Young
Barn
Nel 2021, Neil Young ha pubblicato due fenomenali concerti recuperati dai suoi sterminati archivi, Carnegie Hall del 1979 e Young Shakespeare del 1971, ma anche un nuovo album (il 41esimo) con i Crazy Horse (il dodicesimo con la sua storica band) registrato in un fienile e intitolato didascalicamente Barn. Classico Neil Young con Welcome Back, una di quelle sue canzoni che resteranno.
Bob Dylan
Springtime in New York: The bootleg series vol.16 / 1980-1985
Il sedicesimo volume delle rarità e delle versioni alternative del catalogo di Bob Dylan ritrae il cantante nel momento della rinascita nella prima metà degli anni ottanta. Sono gli anni di Shot of love, Infidels e Empire Burlesque. Nella collezione ci sono alcune gemme: una fantastica Too Late suonata dalla Band e una versione di I and I che sembra un pezzo dei Dire Straits (Mark Knopfler era il produttore di Infidels e la collaborazione era partita quasi come un disco a quattro mani, ma nella versione finale il classico sound Dire Straits è stato moderato, ma qui si sente). Intanto, Sua Bobbità sta registrando il nuovo album in studio.
David Crosby
For free
A ottant’anni, David Crosby è più prolifico che mai, pubblica ogni anno un disco più bello dell’altro. Qui si è fatto aiutare da Donald Fagen e Michael McDonald (Doobie Brothers). Un album pieno di richiami agli Steely Dan, oltre che al passato di Crosby, con una fantastica versione di For Free di Joni Mitchell (con Sarah Jarosz) tratta da Ladies of the Canyon del 1970.