Monti PythonIl rischio di una “montizzazione” di Draghi esiste, ma forse non è quello che pensate

Nel 2013 il premier in loden perse consensi e credibilità non perché fondò un partito, ma perché, così facendo, diede la sensazione di voler trarre vantaggio dalla posizione in cui si trovava. Lasciare Palazzo Chigi per il Quirinale in piena emergenza rischia di fare la stessa impressione

LaPresse/Andreoli Emilio

A leggere i giornali si direbbe che le squadre, nella partita del Quirinale, si siano ormai sostanzialmente ridotte a due: draghiani, intesi come quelli che vorrebbero vedere l’attuale presidente del Consiglio succedere a Sergio Mattarella nel ruolo di presidente della Repubblica, e anti-draghiani, intesi come quelli che vorrebbero tenerlo a Palazzo Chigi fino alla fine della legislatura. Sono definizioni ampiamente criticabili, e che io per primo sarei tentato di contestare, con l’argomento che i più insidiosi nemici di Mario Draghi sono proprio quelli che vorrebbero rimuoverlo da Palazzo Chigi, per ragioni oggettive che non verrebbero meno neanche se tra loro vi fosse lo stesso Draghi (del resto, non sarebbe certo la prima volta che un leader politico si rivela il peggior nemico di se stesso).

Le ragioni oggettive hanno a che vedere con quel processo di “montizzazione” di Draghi da tempo al centro di analisi e retroscena. E per evitare il quale, secondo i giornali, proprio le persone a lui più vicine avrebbero messo in chiaro che l’attuale capo del governo, qualora non dovesse andare al Quirinale, in ogni caso mai e poi mai accetterebbe di farsi un suo partito o comunque di proseguire il suo impegno politico oltre il 2023.

Alla base di questi ragionamenti sta la convinzione che a suo tempo, tra 2011 e 2013, Mario Monti abbia dilapidato il patrimonio di consensi e credibilità accumulati come capo di un governo di emergenza simile all’attuale proprio con la scelta di fondare un suo partito e correre alle elezioni. Ho già spiegato qui perché il parallelo tra i due governi non mi persuade del tutto, ma diamolo per buono.

L’equivoco principale, anche tra i cosiddetti ultra-draghiani, mi pare un altro. E riguarda la ragione per cui Monti, in così poco tempo, perse gran parte dei consensi di cui sembrava disporre. Il motivo principale, a mio parere, non è l’aver fondato un partito, ma l’aver dato l’impressione, fondando un partito e presentandosi alle elezioni dopo averlo più volte escluso, di voler trarre un vantaggio personale dalla posizione privilegiata in cui si trovava.

Ecco perché, se esiste un rischio di “montizzazione” anche per Draghi, questo sta proprio nel modo in cui potrebbe essere recepita la scelta di lasciare il governo, nel pieno di una preoccupante recrudescenza della pandemia. E cioè esattamente allo stesso modo in cui fu vista la scelta di Monti in favore di un suo impegno diretto nella campagna elettorale. Con la differenza, oltre tutto, che in quel momento l’emergenza per cui Monti era stato chiamato a Palazzo Chigi poteva ben dirsi superata, e lui dunque aveva qualche argomento in più per considerarsi sciolto da ogni impegno.

Sfortunatamente, l’andamento dei contagi – per non parlare delle numerose incognite relative all’attuazione del Pnrr – non consente oggi a Draghi di dire lo stesso.

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