Nella sua enciclica del 2015 Laudato si’, una diretta accusa al capitalismo, Papa Francesco ha proclamato: «Dal momento che il mercato tende a creare un meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti, le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue. Il consumismo ossessivo è il riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico».
L’anticapitalista Noam Chomsky ha ripetutamente criticato l’industria pubblicitaria, dicendo che l’obiettivo di quest’ultima è quello di intrappolare le persone all’interno del consumismo per indottrinarle ed esercitare il controllo su di loro.
I critici dell’industria pubblicitaria vedono le aziende di marketing come onnipotenti. Tali critici tentano di creare l’impressione che i consumatori siano vittime senza cervello nelle grinfie dell’industria pubblicitaria. Secondo questa narrazione, le aziende pubblicitarie usano la loro propaganda per convincere le persone a comprare prodotti senza senso, con un consumo così dilagante che ha un impatto sull’ambiente a un livello senza precedenti.
Per dimostrare l’onnipotenza dell’industria pubblicitaria, i suoi critici hanno ripetuto costantemente alcuni miti per più di mezzo secolo. Uno è basato sul libro di Vance Packard del 1957 “I persuasori occulti”, che ha generato una grande copertura mediatica quando è stato pubblicato. Il libro parlava di un metodo pubblicitario particolarmente manipolativo, che coinvolgeva un cinema che mostrava sullo schermo immagini pubblicitarie della durata di frazioni di secondo durante le proiezioni dei film. Queste immagini apparivano e scomparivano così rapidamente che il pubblico non le notava nemmeno coscientemente.
La stampa si riferiva alla pubblicità subliminale come alla «persuasione più nascosta», e coloro che usavano tali tecniche come «mostri invisibili» e di «lavaggio del cervello» per i consumatori. Se il metodo funzionasse davvero come sostenuto, o se il presunto successo fosse solo il risultato di false tecniche di manipolazione, con alcuni esperimenti che pretendevano di provare il successo del metodo effettivamente inventato, rimane non dimostrato.
Certo, la pubblicità può funzionare, ma non è così onnipotente e insidiosa come la dipingono i suoi critici – e molto più spesso è effettivamente inefficace. Si attribuisce a Henry Ford l’affermazione: «Metà dei soldi che spendo in pubblicità sono sprecati; il problema è che non so quale metà». E David Ogilvy, il grande guru della pubblicità, ridicolizzò ripetutamente le campagne pubblicitarie create da altri professionisti della pubblicità nel suo libro “Confessioni di un pubblicitario”, accusandole di essere inefficaci: di solito non fanno nulla per aumentare le vendite e servono più per intrattenere che per informare. Ogilvy accusava gli altri pubblicitari di essere più preoccupati di aumentare le loro entrate che di vendere i prodotti dei loro clienti.
Howard Schultz, il fondatore di Starbucks, disse che vent’anni fa era difficile anche allora lanciare un prodotto attraverso la pubblicità perché la gente non vi prestava più attenzione come in passato, e non credeva al messaggio. Si è detto sorpreso del fatto che i clienti credessero ancora di ottenere un buon ritorno sul loro investimento pubblicitario.
Nel gennaio 2021, gli esperti pubblicitari americani Bradley Shaprio, Günter Hitsch e Anna E. Tuchmann hanno pubblicato uno studio basato sulla loro meticolosa e scientifica analisi della pubblicità televisiva per 288 beni di consumo. La loro scoperta è stata per certi versi scioccante: non solo la pubblicità non ha dato vantaggi economici per l’80 per cento dei marchi, ma aveva addirittura un ROI (Return On Investment) negativo (si veda questo paper).
Si potrebbe sostenere che la pubblicità online attraverso i social media sia oggi molto più efficace della pubblicità “di una volta”, ma ci sono dubbi anche su questo. Solo pochi anni fa, Procter & Gamble e Unilever hanno ridotto la loro spesa pubblicitaria online rispettivamente del 41% e 59% – e questo non ha avuto alcun impatto negativo sui loro profitti.
La pubblicità non è così onnipotente come le agenzie pubblicitarie e gli anticapitalisti vorrebbero farci credere – per una serie di ragioni – e l’immagine del consumatore senza cervello sedotto da pubblicitari ingegnosi che spende tutto il giorno per comprare oggetti non necessari è una grande esagerazione. Se c’è qualcuno che viene imbrogliato, sono più spesso le aziende che spendono così tanti soldi in una pubblicità inefficace e che partecipano al gioco solo perché lo fanno anche i loro concorrenti. Le agenzie pubblicitarie hanno più successo nel convincere i loro clienti, che non i clienti dei loro clienti.
Quando immagino un mondo senza pubblicità per prodotti e servizi, penso al grigiore del socialismo, dove noiosi manifesti dominano il paesaggio stradale, proclamando i messaggi di propaganda del partito. Preferisco di gran lunga la pubblicità sotto un sistema capitalista che, al suo meglio, ha raggiunto lo status di arte, come nel caso di Andy Warhol, che era lui stesso un artista commerciale di professione.