Ospedali di domaniRiforma Moratti: come cambierà la sanità a Milano?

Il nuovo sistema previsto dalla Regione introduce la centrale operativa territoriale unica e la figura dell’infermiere di comunità: ecco quali sono la novità della prossima medicina territoriale

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La riforma della sanità lombarda entra nella sua “fase 2”. Dopo la combattuta approvazione in Consiglio il 30 novembre, in uno scontro acceso tra maggioranza e opposizioni su come rimediare alle fragilità strutturali del sistema sanitario, sono in corso in questi giorni i faccia a faccia con i sindaci per la definizione della mappatura dei nuovi poli territoriali di assistenza.

Cosa cambierà, nei fatti, a Milano? Il ridisegno complessivo del sistema prevede la creazione di una rete di servizi che in ogni distretto (di base uno ogni 100mila abitanti) contempli i diversi livelli di assistenza territoriale, ovunque e in maniera omogenea per tutti. Di qui a tre anni – termine ultimo per la giunta si è data per realizzare l’intera riforma – un cittadino milanese, al bisogno, potrà chiamare la centrale operativa territoriale (che sarà unica in città) per segnalare il suo problema ed essere indirizzato nella struttura più in linea per risolverlo, o per ricevere assistenza domiciliare attraverso la nuova figura dell’infermiere di comunità.

Per interventi sanitari di ridotta gravità e complessità, o per servizi di continuità assistenziale, si potrà fare riferimento ad una delle 15 case di comunità previste in città, dove ricevere prestazioni prevalentemente infermieristiche, fare consulti con un medico di medicina generale o accertamenti specialistici di base (visite e esami cardiologici, pneumologici, diabetologici, oncologici, ortopedici e oculistici). Nelle CdC più grandi (gli hub) verranno attivati anche punti per prelievi e vaccinazioni, iniziative di prevenzione (ex educazione alimentare, sensibilizzazione agli screening periodici) o prestazioni che rientrano nelle funzioni dei consultori e dei servizi sociali. Sia le CdC hub, più grandi, che quelle spoke, più piccole e con un range inferiore di servizi, saranno aperte h24 e 7 giorni su 7, rappresentando un’alternativa alle lunghe e snervanti attese al pronto soccorso.

Se il problema richiede un ricovero, la centrale operativa – vero cervello della rete – dovrà valutare se affidarlo ai poli ospedalieri tradizionali o farlo gestire a uno dei 9 ospedali di comunità previsti per Milano, strutture modulari che aggiungono ai servizi della CdC un numero limitato di posti letto (20-40) per ricoveri brevi e a bassa intensità clinica.

La delibera regionale 5195/202, approvata dalla Regione a inizio novembre, prevede la creazione di almeno 10 CdC entro la fine del 2022 e il completamento dell’intero piano entro il 2026. Un investimento pari a 130 milioni di euro, in cofinanziamento con le risorse del Pnrr e da cui restano fuori, ad esempio, il molto discusso ridimensionamento dell’ospedale San Paolo a OdC, smentito in questi giorni dalla Regione e però messo nero su bianco in delibera.

La nuova mappatura della sanità milanese, però, è ancora tutta da confermare. I tempi sono stretti: dal 20 dicembre il dossier dovrà arrivare sul tavolo del governo per sbloccare le risorse del Pnrr.

La roadmap- del resto – ha tempi ancora più serrati: scade oggi ,10 dicembre, il termine entro il quale la Regione deve inviare ad Agenas la lista delle case di comunità, centrali operative e ospedali di comunità che dovrebbero costituire la spina dorsale della nuova medicina territoriale. Nei cinque anni di sperimentazione della L.23/2015, infatti, i grandi ospedali hanno dovuto vicariare anche le funzioni di assistenza e cura per le cronicità, le prestazioni di bassa intensità e i ricoveri non acuti, con una pressione continua e costante sui pronto soccorsi che, nelle fasi più buie della pandemia, si è tradotta in veri e propri assalti alla diligenza, con scene da Far-West

Moratti e Fontana continuano a scommettere sul sostegno dei privati che in Lombardia entreranno nel business anche delle nuove strutture. Un unicum sul piano nazionale, visto che l’indirizzo governativo del Pnrr è di riservare questi livelli di assistenza al solo ambito pubblico. A nulla sono valsi, in questo senso, i rilievi di Agenas che, in un’analisi di fine dicembre 2020 voluta dal Ministro della Salute, Roberto Speranza, invitava il Pirellone a rivedere un meccanismo di accreditamento che dà ai privati gli stessi diritti del pubblico ma non gli stessi doveri.

A parità di tariffe, infatti, gli erogatori privati sono ad oggi totalmente liberi di scegliere quali prestazioni offrire (a differenza del pubblico) tendendo a preferire, il più delle volte, quelle più remunerative che non sono necessariamente quelle più richieste. Moratti e Fontana, su questo, prevedono sì, nella riforma, un rafforzamento delle competenze dell’assessorato in materia di programmazione strategica, ma senza paletti né vincoli che ancorino l’accreditamento delle strutture a un’analisi della domanda sanitaria. Basta che funzioni e che i soldi finiscano dove devono. Milano aspetta.

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