Abbiamo appena passato la triste ricorrenza dei quarant’anni dalla prima diagnosi di Aids, sapendo che Milano è la città con più contagi in Italia, secondo gli ultimi rapporti disponibili: 800 casi all’anno sui quasi 3400 nazionali.
Grande è l’impegno della città e delle sue associazioni, come dimostrano anche le numerose iniziative messe in campo l’ 1 dicembre scorso, giornata mondiale della lotta contro l’Aids: test gratuiti e anonimi per la città nelle sedi del Cdi (Centro Diagnostico Italiano) aderenti grazie alla collaborazione con Anlaids Lombardia, mentre Lila (Lega Italiana Lotta all’Aids) ha organizzato incontri di prevenzione nelle università concentrandosi sugli studenti, la fascia d’età più colpita tra i nuovi casi.
Diverse le iniziative di sensibilizzazione: “Se ami la libertà, proteggila”, un’installazione durata 40 ore, su un barcone in mezzo ai Navigli e visibile sulla terraferma, per sensibilizzare sulla consapevolezza della prevenzione; poi, ai Frigoriferi Milanesi, “40 anni positivi. Dalla pandemia di Aids a una generazione Hiv free”, per celebrare i quattro decenni di lotta contro la malattia. Emotivamente d’impatto anche “HIV together we can stop the virus”, con le opere animate grazie alla realtà a mostrare le varie fasi del percorso del paziente, dalla diagnosi alle terapie, fino alla convivenza con la malattia.
Il fatto è che sullo sfondo continua a imporsi una domanda: mentre la ricerca scientifica porta avanti faticosamente la sua lotta al male, quanto quest’ultimo trova ancora un suo tragico complice nel pregiudizio, nell’isolamento sociale?
Non ha dubbi Daniele Calzavara, coordinatore di Milano Check-Point, associazione con l’obiettivo di creare uno luogo sicuro e accogliente dove ricevere supporto per la propria salute sessuale, offrendo servizi di test Hiv e sifilide gratuiti e anonimi, e percorsi di profilassi pre-esposizione: «Oggi viviamo in un’epoca in cui i progressi scientifici e i grandi traguardi dovrebbero contribuire a mettere fine alla diffusione del virus dell’Hiv, che invece continua a diffondersi. Il grande nemico è la discriminazione che colpisce le persone colpite da Hiv. Lo stigma crea paura, e la paura genera un clima in cui le persone non vogliono conoscere il loro stato sierologico e non vogliono vedere l’Hiv per quello che è: un virus».
L’immaginario collettivo è ancora legato a quello degli anni Ottanta e Novanta, che colpisce soprattutto omosessuali e tossicodipendenti e una diagnosi significa morte ed emarginazione. Invece il virus può colpire chiunque e se è vero che non esiste ad oggi una cura definitiva, è altrettanto vero che grazie ai farmaci l’aspettativa e la qualità di vita delle persone positive è pari a chi è negativo.
Smantellare questo paradigma attraverso l’informazione e la prevenzione, fare cultura sull’argomento è la strada per arrivare all’obiettivo zero infezioni al 2030, promosso dall’Oms.
Realtà come Milano Checkpoint cercano di percorrere questo cammino ambizioso, ma scontrandosi con una realtà ancora troppo difficile.
Emblematico il racconto di Chiara, che lavora in un poliambulatorio accanto alla sede dell’associazione: «Sono tante le persone entrate in studio credendo si tratti di Milano CheckPoint. Giovani, studenti universitari e donne e uomini trentenni, anche stranieri», a conferma del dato del Ministero della Salute secondo il quale l’incidenza di nuove diagnosi è più elevata nella fascia tra i 25 e i 29 anni.
«Arrivano silenziose, con un timore che somiglia troppo ad un senso di vergogna. Mi ricordo bene un ragazzo, entrato dicendo a monosillabi di voler fare un test. Credendo istintivamente che alludesse a un tampone Covid ho chiesto se dovesse fare un rapido o un molecolare. Si è ammutolito, non ha nemmeno risposto e quasi balbettando mi ha domandato se fosse il numero civico 15, cioè quello della sede dell’associazione. Allora ho capito».
Ecco, tornare sempre a galla lo stigma attorno all’Hiv, l’urgenza di abbattere i luoghi comuni. Non bastano anonimato e gratuità, pur fondamentali per raggiungere un’utenza talmente fragile e marginalizzata da non rivolgersi agli ospedali per paura, Non bastano l’impegno dei volontari e le iniziative di sensibilizzazione. Da Milano parta il cambiamento culturale, sociale, umano.