Quando fa buioMilano ha davvero un problema di sicurezza delle donne?

Dopo le aggressioni di Capodanno si continua a parlare di emergenza stupri e molestie: i dati raccolti dalla rete antiviolenza parlano di più di duemila donne soccorse solo nella prima metà del 2021. Ma la città è l’unica ad aver triplicato i finanziamenti per l’assistenza alle vittime, dice la consigliera comunale Diana De Marchi

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Cutecalls (nickname che gioca con il termine catcall, ovvero la pratica maschile di infastidire verbalmente una donna) è il profilo di un’illustratrice londinese che disegna principalmente storie di stupri e aggressioni con l’obiettivo di sensibilizzare utilizzando un mezzo che Instagram apprezza molto: le vignette dai colori bold e dal tratto fine.

Qualche giorno dopo il terribile stupro di gruppo di Capodanno a Milano mi sono salvata una sua vignetta, che descrive in maniera impeccabile l’esatta sensazione che una donna può provare di fronte al pericolo di un’aggressione sessuale. In questo schizzo c’è una minuscola barchetta a remi guidata da una ragazza sola e, di fronte a lei, un’onda gigantesca che la sta per travolgere. Sull’onda c’è scritto «La violenza degli uomini nei confronti delle donne e dei generi marginalizzati», mentre una voce fuori campo rappresentata da un fumetto dice: «Possiamo dare l’allarme stupro?».

Dopo quanto è successo tra piazza Duomo e la Galleria Vittorio Emanuele a Milano la notte tra il 31 dicembre e il 1 gennaio quando due ragazze sono state aggredite, derubate, palpeggiate, strattonate e spogliate da una gruppo di ragazzi poco più grandi di loro, in Italia e in particolar modo a Milano, non si fa che parlare di “emergenza stupri”, e si provano a cercare possibili soluzioni. 

I dati raccolti dalla rete antiviolenza di Milano (9 centri antiviolenza e 9 case rifugio) evidenziano che, nei soli primi sei mesi del 2021, le beneficiarie dei servizi offerti sono state 2.184, dato che chiaramente è solo la punta dell’iceberg, non tenendo conto di tutte le vittime che non denunciano.

Un numero alto – stiamo parlando della sola città di Milano – che, se si scende più nel dettaglio, rivela come le donne che si siano rivolte per la prima volta nella loro vita a un centro antiviolenza siano state 560; 971 sono invece quelle supportate nella loro uscita dal percorso antiviolenza e 50 sono state invece accolte nelle case rifugio. La maggior parte di queste (il 64%) è di nazionalità italiana, ha un’età compresa tra i 19 e i 50 anni e un buon livello di istruzione. In più dell’80% dei casi la violenza è psicologica, nel 68% circa fisica e intorno al 25% è sessuale ma, soprattutto, nella stragrande maggioranza dei casi il maltrattante non è uno sconosciuto, ma il marito, il convivente o l’ex fidanzato.

Episodi tragici come quello di Capodanno quindi non rappresentano che una parte di un problema molto più ampio e, soprattutto, radicato nella società. I dati sulle violenze sessuali e di genere sono impietosi, ma la cosa più drammatica è che tutte le misure che si sentono ipotizzare: controlli, percorsi separati o carrozze separate sui mezzi per le donne, non sono che tentativi di bloccare quell’onda che sta per travolgere la ragazza con un paravento sulla barca. Potrà forse proteggerla dall’acqua in un primo momento, ma di certo non risolverà il problema. Ancora, lei magari passerà indenne l’onda, ma cosa succederà alla prossima?

L’unica vera strada per garantire la sicurezza delle donne è quella di smantellare alla base i comportamenti abusanti: fisici, psicologici o sessuali che siano. «Siamo di fronte a un tipo di sopraffazione culturale radicata, che esplode soprattutto in contesti di disagio culturale» attacca Diana De Marchi, ex presidentessa della commissione per le Pari opportunità del Comune di Milano, che nel Beppe Sala bis è stata eletta in Consiglio comunale: «Il problema c’è e non si può ignorare: nell’ultimo periodo le denunce sono aumentate molto». 

Trova che separare maschi e femmine possa essere una soluzione?  «Assolutamente no. Se ne è parlato a livello regionale dopo gli assalti sui treni: è un bene che si sia posta l’attenzione su questo problema, ma separare i vagoni non è la soluzione. Come Comune di Milano abbiamo cominciato con l’Atm a mettere le telecamere sui mezzi pubblici, ma non è l’unica cosa: la polizia è importante, la punizione dei responsabili è importante, ma gli interventi devono essere ad ampio raggio».

A cosa si riferisce? «Devono essere messi in piedi interventi socio-educativi: serve che si capisca qual è la situazione nei vari quartieri, per andare a investire di più sulla prevenzione, che nelle situazioni di maggior degrado, significa insistere sull’educazione e sulla formazione. Gli esperti lo dicono: la didattica a distanza ha portato all’esasperazione il disagio giovanile, soprattutto nei quartieri più problematici. Chi non ha gli strumenti, perché già era in una condizione di povertà educativa, sociale ed economica, sicuramente oggi fatica ancora di più. Queste aggressioni, queste bande, questa sopraffazione del forte sul debole sono scardinabili solo con eventi di educazione profondi». 

Come prevenzione, a oggi, cosa fa il Comune di Milano? «La città ha una rete antiviolenza che non ha uguali in Italia: è l’unica ad averne triplicato il finanziamento, il che significa non solo triplicare le risorse economiche, ma anche la professionalità. Questo è già un segnale importante da parte della città, perché se il fenomeno delle bande è qualcosa che va assolutamente combattuto, non dobbiamo scordarci che la maggior parte degli eventi in cui le donne sono vittima di stupri o maltrattamenti, avviene in ambito domestico. Il nostro tessuto sociale è purtroppo ancora intriso dalla cultura della sopraffazione: per questo è importante che si condannino quelli che hanno commesso le violenze, ma senza dimenticare che è nostro dovere lavorare perché vengano rimosse le cause di quelle violenze. Non stare assieme, per esempio a scuola, che è il primo luogo dove i ragazzi imparano le regole di convivenza e rispetto, crea un grosso danno. La mancanza di una continuità scolastica e la mancanza di luoghi di aggregazione in cui i ragazzi vengano educati alla convivenza con il genere femminile ha effetti drammatici».