La narrazione di comodoGergely Homonnay era un grande oppositore di Orbán, ma i media parlano della sua omosessualità

Le cause del decesso dello scrittore ungherese trovato morto a Roma saranno stabilite dalle indagini. Ma i giornali, soprattutto quelli del suo Paese, si sono già concentrati sulle sue frequentazioni parlando di festini gay e droga dello stupro

da Facebook

Sono bastati i primi articoli sulla morte dell’ungherese Gergely Homonnay, avvenuta nella tarda mattinata di Capodanno a Roma, per dare il via ieri sul web a una progressiva valanga di narrazioni contradditorie tra di loro ed erronee nei dati: dall’età del deceduto, indicato come un cinquantatreenne, all’orario e al luogo, in cui si è verificato il drammatico fatto, diversamente indicato ora quale circolo sportivo ora quale luogo d’incontri gay ora quale Bananon Club in zona San Giovanni.

Affermazione, quest’ultima, in cui s’è confuso il nome di un circolo esistente fino allo scorso anno – nome sopravvissuto quale contrassegnante la serata a tema del venerdì – negli stessi locali del civico di via Pontremoli occupati dalla sauna Adam e gestiti dall’omonima associazione di promozione sociale. Sauna, nel cui bagno turco l’affascinante quarantaseienne magiaro è stato rinvenuto da un socio, poco prima di mezzogiorno del 1° gennaio, in condizioni di tali gravità da rendere inutili i successivi soccorsi del 118.

Solo dall’esame autoptico si potrà sapere con sicurezza che cosa abbia portato all’arresto cardiocircolatorio, indicato come prima motivazione del decesso, e se questo sia da correlarsi con le sostanze liquide e in polvere, ritrovate dai carabinieri tra gli effetti personali dell’uomo e ritenute stupefacenti.

Non a caso il pm Luca Guerzoni ha aperto un fascicolo per ipotesi di morte come conseguenza di altro reato. Come prevedibile, la quasi totalità dei media si è attardata sulla sostanza liquida, presuntivamente indicata come GBL o GHB. Da qui alla stereotipica quanto parziale definizione di “droga dello stupro” il passo è stato breve con tutte le connesse morbose attenzioni sul “noto” utilizzo della stessa da parte del defunto e sui “festini gay a base di droghe”. Non meraviglia pertanto che tali resoconti con tanto di esplicito rimando siano stati immediatamente mutuati da stampa, radio e tv ungheresi, in maggioranza filogovernativi, e calcati nei toni in un’operazione d’immediata damnatio memoriae di Gergely Homonnay.

Una sorta di nemesi riabilitativa per Orbán e suoi di Fidesz dopo lo scandalo Szajer, non a caso tutti nel mirino del connazionale gay morto nella capitale. Che non era una figura di secondo piano in Ungheria ma un noto scrittore, attivista per i diritti civili e polemista, tra i più agguerriti, contro il premier sovranista, il suo partito, i suoi ministri.

Tra i primi a ricordarne l’indiscusso valore Ferenc Gyurcsány, già primo ministro magiaro dal 2004 al 2009 e dal 2011 leader di Demokratikus Koalíció (DK), che Hommonay aveva apertamente sostenuto dopo le elezioni parlamentari del 2018, divenendo uno dei protagonisti delle famose proteste di aprile. Ma anche il sindaco di Budapest, Gergely Karácsony, grazie al cui impegno i sei partiti di opposizione di centro-sinistra hanno formato una grande coalizione contro Fidesz per le elezioni parlamentari di quest’anno.

«Era uno spirito libero – ha scritto su Facebook –, radicale e critico. Era un uomo della società civile che capiva il linguaggio della folla. Un cittadino che voleva vivere in un Paese migliore, più giusto e più accettabile. Per questo ha combattuto con rabbia e impazienza in patria e anche dall’Italia. Era un democratico e un patriota. Con la morte di Gergely Homonnay, abbiamo perso una figura speciale della vita pubblica ungherese».

E infatti anche in Italia o più precisamente Roma, dove si era trasferito alla fine del 2020, lo scrittore e attivista gay dichiarato ha continuato fino all’ultimo la sua battaglia contro l’erosione dello Stato di diritto in Ungheria. E l’ha fatto mettendo a frutto la profonda cultura linguistico-giuridica, ai cui studi si era formato nelle università di Szeged, Pécs e Eötvös Loránd di Budapest. L’ha fatto soprattutto scrivendo con quell’inconfondibile stile tagliente e profetico, di cui ha dato prova negli anni come giornalista per testate online, come blogger e soprattutto autore di libri vendutissimi in Ungheria come “Puszi, Erzsi!” (2016) e “Az elnökasszony” (2017).

Entrambi incentrati sulla sua enorme gatta Erzsi, che l’aveva seguito anche a Roma, essi sono in realtà un ironico e profondo racconto non solo del personale rapporto con l’amato felino ma anche un manifesto di vita politica visto secondo una “prospettiva di gatto”. La sua prospettiva.

Poi il 6 settembre scorso la condanna a un anno di libertà vigilata con l’accusa di aver diffamato la ministra della Famiglia Katalin Novák, che Orbán ha recentemente indicato come sua candidata a presidente della Repubblica. Ma ciò non ha impedito a Gergely Homonnay di continuare a criticare la fedelissima del leader di Fidesz sul profilo personale Facebook, seguito da 30.000 persone, e sul suo sito web Erzsi for President con quasi 100.000 persone. Come anche di svelare l’ipocrisia di una ministra della Giustizia quale Judit Varga, silente sul suo essere lesbica, eppure fortemente sostenitrice delle politiche omofobe del partito.

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