Quando una multinazionale chiude o trasferisce la produzione è una cattiva notizia. Non solo perché vengono perduti posti di lavoro, ma soprattutto perché quelli creati da queste grandi imprese italiane o estere sono posti di pregio, meglio pagati della media.
Questo aspetto passa spesso in secondo piano, coperto dalla narrazione prevalente che parla di multinazionali solo in occasione di crisi e delocalizzazioni. I dati Istat sono però molto chiari: praticamente ovunque in Italia a un lavoratore converrebbe essere assunto da una multinazionale anziché da un’impresa non appartenente a nessun grande gruppo.
Nel primo caso la retribuzione per addetto è di di 39,12 euro l’ora lorde, se si parla di realtà estere, mentre diventano 36,7 se si tratta di multinazionali italiane. Scende a 27,7 se a offrire lavoro sono gruppi italiani, e ancora più giù, a 20,32 nel caso delle altre imprese, tra cui moltissime naturalmente sono piccole e medie.
Le differenze sono così evidenti che superano quelle, pur presenti, tra una regione e l’altra. Anche là dove le multinazionali straniere pagano meno, come in Calabria, in Liguria o in Sardegna, gli stipendi rimangono comunque più alti di quelli che offrono le aziende italiane non appartenenti a gruppi nelle aree più fortunate.
Nel complesso l’Italia si conferma profondamente diseguale e questa ineguaglianza, determinata dalla tipologia di impresa in cui si lavora, si aggiunge a quella geografica: si va da un massimo di 43,75 euro all’ora, pagati dalle grandi imprese estere in Lombardia, ai 15,69 guadagnati dai dipendenti di quelle calabresi, quasi tutte piccole.
Dati Istat
Da cosa derivano questi divari? Non si tratta di una maggiore o minore generosità dei datori di lavoro, quanto della conseguenza di una differente produttività. Mediamente ogni dipendente di una multinazionale straniera genera 93.200 euro di valore aggiunto, quello di una multinazionale italiana addirittura 96.800, che scendono a 59.600 nel caso di gruppi domestici e a 32.800 in quello di aziende italiane non appartenenti a gruppi.
Naturalmente anche in questo caso la variabilità regionale è ampia, soprattutto nel caso delle realtà estere, ma appare chiaro come le diverse tipologie di imprese sembrino giocare in categorie completamente differenti.
Dati Istat
Il risultato è che se un po’ ovunque gran parte degli addetti (oltre il 75% nel mezzogiorno) lavora nelle aziende italiane più piccole, se si passa a valutare il fatturato, il valore aggiunto generato e le retribuzioni il peso generale di queste piccole imprese diminuisce.
Così nel Nord Ovest, la macro area più forte del Paese da un punto di vista economico, se solo il 24,6% dei dipendenti lavora in multinazionali (il 12,9% in quelle estere e l’11,7% in quelle italiane), da queste esce il 44% del monte stipendi complessivo.
Dati Istat
È l’ennesima conferma che le multinazionali sono benefiche non solo per i lavoratori, ma anche per il resto del tessuto produttivo dell’area.
Vi è, infatti, una netta correlazione tra la proporzione di lavoratori occupata in imprese italiane che non fanno capo ad alcun gruppo, né multinazionale né domestico, e le retribuzioni che questi addetti percepiscono.
Dove tale quota è maggiore, tipicamente nelle regioni meridionali, costoro guadagnano meno. Vuol dire che la maggiore presenza di multinazionali fa bene anche a chi non vi lavora ed è assunto in realtà più piccole. Questo perché le aziende più grandi e i gruppi esteri e italiani sono, per esempio, buoni clienti e più ve n’è più è possibile, anche per le imprese locali, realizzare un fatturato e un valore aggiunto maggiore.
Dati Istat
È evidente così quella che è una delle principali ragioni del ritardo del Mezzogiorno, ovvero la minore presenza di multinazionali nel suo sistema economico. Come si vede il divario a livello di retribuzioni rispetto al Nord dipende più da questo che dalla diversità tra gli stipendi pagati da imprese dello stesso tipo in regioni del Nord e del Sud.
Naturalmente – e come sempre in economia – tutto è più complesso di quanto si pensi e ogni causa è in parte anche un effetto. Non è un caso se proprio nel Mezzogiorno grandi gruppi e multinazionali non si installano, e questo sicuramente deriva anche dalla scarsità di un indotto vantaggioso.
Tuttavia tutti questi numeri e statistiche dicono una cosa chiara: nonostante possano apparire “antipatiche” quando e se decidono di andarsene, non possiamo fare a meno delle multinazionali, soprattutto in un Paese come il nostro dove le tante piccole imprese non possono permettersi di dare retribuzioni degne di un Paese avanzato.
Se l’effetto push, ovvero respingente, nei loro confronti può essere forte, deve diventare allora ancora più potente quello pull, quindi l’attrattività dell’Italia. In questo può e deve fare la propria parte il settore pubblico, con lo sviluppo di un asset totalmente autoctono e “sovrano”, ovvero il capitale umano e le competenze.