I botti di fine annoTra Quirinale e Palazzo Chigi, avanza il partito della super stabilità

Letta chiede «continuità di governo». Se le parole hanno un senso, vuol dire togliere Mario Draghi dalla corsa per la presidenza della Repubblica. La variante Omicron, il rischio assenze dei grandi elettori e il buon senso rianimano le chance di un Mattarella bis

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Se le parole hanno un senso, quando dice che va preservata «la continuità di governo», Enrico Letta toglie la carta pesantissima di Mario Draghi dal tavolo verde della partita per il Quirinale giacché – parrebbe lapalissiano – solo Mario Draghi può dare «continuità» a questo governo.

Se le parole hanno un senso infatti nessun altra figura può garantire la «stabilità», altra parola-chiave pronunciata dal segretario del Pd: né un tecnico vicino a Draghi (Daniele Franco, Marta Cartabia, Vittorio Colao) perché difficilmente sarebbe in grado di tenere unita una maggioranza sempre sul punto di spaccarsi (lo abbiamo visto sia sulla legge di Bilancio che ancor più sulle nuove misure anti-Covid), con tanto saluti alla stabilità; e nemmeno un politico si troverebbe facilmente a gestire un governo dall’orizzonte ravvicinatissimo, un governo “super-balneare” guidato da un esponente politico (Dario Franceschini? Lorenzo Guerini? Luigi Di Maio?) con la testa da subito alle elezioni e che l’altro renderebbe più facile l’uscita della Lega dal governo per sottrarre il monopolio dell’opposizione alla Meloni: anche qui, addio alla “stabilità” e alla “continuità”. 

Il leader democratico ha inoltre detto parole chiare, che ormai sono agli atti, e tra queste il no a quelle elezioni anticipate che più d’uno aveva considerato tra i suoi desideri: ma evidentemente è bastato uno sguardo ai sondaggi, che pure vedono il Partito democratico in leggera ma costante ascesa, per concluderne che non è aria perché Giuseppe Conte non riesce a risalire la china, anzi, e finora i dem non hanno costruito nuovi rapporti. Meglio lasciar perdere e lavorare per condizioni migliori.

Può darsi che Letta abbia cambiato idea sposando in questo frangente più la linea prudente di Guerini e altri che quella della sinistra, sempre più insofferente nei confronti di Draghi e della coalizione di governo. Se sarà questa la posizione che uscirà della riunione della Direzione e dei gruppi parlamentari fissata per il 13 gennaio, dunque l’attuale presidente del Consiglio vedrà il Colle più lontano.

E poi sta giocando un ruolo decisivo l’emergenza Omicron, con l’Italia ammalata o col timore di ammalarsi, le nuove chiusure di negozi e piccole imprese, il timore di una non preventivata frenata della crescita, frenata – come dire – più percepita che reale ma comunque tale da ingenerare nervosismo e depressione in un Paese già esausto. Ed è evidente che un simile quadro generale depone contro ogni ipotesi di salto nel buio. E se veramente, come chiede Letta, si va verso l’obbligo di vaccinazione, questo è un motivo in più per non slabbrare il quadro di governo e i rapporti politici.

È un ragionamento che ormai si fa apertamente anche a proposito della elezione del nuovo Capo dello Stato. In Parlamento ci si va convincendo che si tratti di una pratica da chiudere subito, il prima possibile. «Prima del Festival di Sanremo…» (inizia il primo febbraio), ci è stato detto. Tenuto conto che la prima votazione dovrebbe tenersi il 24 gennaio, l’obiettivo dovrebbe essere centrato abbastanza facilmente, sempre che i partiti o alcuni di essi non facciano le bizze (il riferimento è a Silvio Berlusconi).

L’argomento che tiene banco in queste ore è quello evocato da Clemente Mastella e su un piano più costruttivo da Stefano Ceccanti: se per quel giorno vi saranno 100 contagiati, che ovviamente Roberto Fico – dominus assoluto nella direzione dei lavori – non farebbe votare, cosa potrebbe succedere? A nostro modesto avviso, potrebbe porsi una questione inedita circa la legittimità sostanziale, politica, di una votazione che vedesse mutilata la presenza di questo o quel gruppo in spregio alla rappresentanza popolare.

In altri termini, se – poniamo – tutti i parlamentari di Fratelli d’Italia o di un altro gruppo (Dio non voglia) fossero malati, sarebbe giusto procedere a un voto sul presidente della Repubblica senza un intero partito? È vero che in questa circostanza i Grandi elettori sono slegati dalla stretta rappresentanza del proprio partito, ma è chiaro resterebbe però un colossale problema di sostanza. Risolvibile solo con un grande accordo preventivo su una persona da eleggere alla prima votazione. Sarebbe cioè una soluzione d’emergenza simile non tanto a quella che portò al bis di Giorgio Napolitano, dovuta a un’impasse tutta politica, quanto a quella della elezione di Oscar Luigi Scalfaro, eletto in fretta e furia dopo la strage di Capaci.
Nessuno meglio di Sergio Mattarella potrebbe unire tutto il Parlamento. L’ipotesi di un nuovo mandato a quello che certamente è (stato) forse il miglior presidente della Repubblica è tornata infatti di prepotenza. È chiaro che egli nel tanto atteso discorso di fine anno non ne accennerà. Ma improvvisamente il partito della super-stabilità, che vuole mantenere Mattarella al Colle e Draghi a Palazzo Chigi, si è rianimato. Con buone possibilità di vittoria.

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