Se non si sa che si tratta di nastro adesivo, quelle di No Curves potrebbero apparire pennellate: la tape art, corrente artistica di cui è l’esponente italiano più noto, consiste infatti in questo: creare dei disegni senza usare altro materiale che del nastro adesivo colorato.
La trama si rivela infatti solo una volta che ci si avvicina: i disegni sono composti da tagli di nastro adesivo appiccicati uno sopra l’altro e su una superficie uniforme, monocroma o trasparente. È l’effetto ottico creato dal gioco di sovrapposizioni, ma anche dalle ombre e dall’effetto di insieme, che determina poi il risultato, che è anche piuttosto realistico.
A sembrare dipinti sono in particolar modo i ritratti, dove le espressioni, le pieghe del volto, emergono dal groviglio di nastro adesivo in modo netto. I 15 anni di attività di No Curves, artista che preferisce essere conosciuto solo con il suo nome d’arte, confluiranno in “Movimento Geometrico”: una mostra promossa dal Consiglio regionale della Lombardia e in collaborazione con Ied Alumni presso lo Spazio Eventi di Palazzo Pirelli.
Opere murali, pezzi provenienti da collezioni private e tape commissionati all’artista da clienti appartenenti al mondo della moda o del design: il percorso espositivo, visitabile dal 19 gennaio al 16 febbraio, è un excursus nella produzione di No Curves e nel suo gioco ottico continuo: dove occhio e cervello giocano una sorta di partita a scacchi: uno inganna, l’altro cerca di scomporre l’immagine per coglierne i frammenti.
Come hai iniziato e come mai ti sei appassionato proprio alla tape art?
Sono almeno vent’anni che ho iniziato a lavorare con il nastro adesivo, sperimentando su muri dismessi e cartelloni pubblicitari, ma erano esordi del tutto anonimi. Il nome No Curves è nato successivamente, per rappresentare il cuore della mia attività: mi accompagna da quindici anni a questa parte, ovvero il periodo più significativo per la mia produzione. Per quanto riguardo la “tape-art”, invece, è solo recentemente, diciamo negli ultimi decenni, che si è iniziato ad usare questa terminologia per definire il movimento, che è affine alla street-urban art. Verso la fine degli anni 90 e l’inizio dei 2000 non c’erano gli smartphone di oggi, e nemmeno l’iper comunicazione attuale, ogni intervento artistico era spesso era più spontaneo e slegato da definizioni.
Ci sono stati frangenti in cui non ti sei sentito capito?
Non sono del parere che l’artista debba essere capito. Ogni cosa, sia che sia un’opera d’arte o un’idea, specialmente se nuova o innovativa, necessita di tempo e educazione mentale per essere compresa e interpretata, e molto dipende dal contesto sociale e generazionale. Fermo restando che ognuno di noi è libero di farsi piacere quello che vuole. Quando, anni fa, molti miei lavori hanno iniziato a prendere forma, ed essere visibili anche nell’ambiente street e graffiti, il nastro era visto come una specie di abominio. Una cosa piuttosto ironica visto che tutti sappiamo come venissero considerati i graffiti nella società fino a poco tempo fa.
Qual è stato il punto di svolta?
Aver incontrato il nastro adesivo.
Con questa mostra cosa vuoi trasmettere?
Il valore del duro lavoro, l’impegno costante di tanti anni e la dedizione al proprio sentiero di vita.