L’America del 6 gennaioI negazionisti della minaccia populista alla democrazia, e i loro facilitatori

Disinformazione, fake news e “verità alternative” sono “extinction-level event”, far finta di niente è irresponsabile e pericoloso

AP Photo/Jose Luis Magana, File

In questi anni molti hanno sostenuto che post-verità, fake news e campagne di disinformazione online fossero, fondamentalmente, fesserie. Alibi di una sinistra incapace di accettare le sconfitte, sempre in cerca di nuove scuse, nuovi capri espiatori e nuovi nemici da demonizzare.

Esattamente un anno fa, il 6 gennaio 2021, abbiamo avuto la prova che quei molti si sbagliavano: una campagna di disinformazione sulle presunte frodi elettorali dei Democratici, talmente presunte che la loro denuncia era cominciata diversi mesi prima delle elezioni, culminava quel giorno in un assalto al Congresso, con il dichiarato intento di impedire la proclamazione del legittimo vincitore, Joe Biden. Un breve, grottesco, incredibile episodio di guerra civile che ha lasciato sul terreno cinque morti.

Un attimo prima, in un comizio organizzato di proposito a poca distanza da lì, Donald Trump aveva detto alla folla: «Cammineremo lungo Pennsylvania Avenue, io amo Pennsylvania Avenue, e andremo al Campidoglio e proveremo a dare ai nostri repubblicani, i deboli, perché i forti non hanno bisogno del nostro aiuto, proveremo a dare loro il tipo di orgoglio e audacia di cui hanno bisogno per riprendersi il nostro paese». Difficile dire cosa sarebbe successo se il vicepresidente Mike Pence avesse ceduto alle pressioni di Trump e si fosse rifiutato di certificare il risultato elettorale, come voleva la folla.

Come se non bastasse, mentre i suoi sostenitori, da lui aizzati, assaltavano il Congresso, con il dichiarato intento di impedire la proclamazione del risultato del voto, Trump rifiutava per ore di dire anche solo mezza parola per fermarli, nonostante, come ora sappiamo, persino i suoi più stretti familiari, dinanzi alle immagini di quelle violenze assurde, lo pregassero di intervenire.

«Se la maggioranza dei repubblicani continua a piegarsi al “fatto alternativo” politicamente più pernicioso, e cioè che le elezioni del 2020 sono state una frode che giustifica la scelta di dare ai parlamenti degli Stati repubblicani il potere di rovesciare la volontà degli elettori e di rimuovere i supervisori del processo elettorale democratici e repubblicani che contribuirono a salvare la nostra democrazia dichiarando correttamente il vincitore, allora l’America non è solo nei guai. È diretta verso quello che gli scienziati chiamano “an extinction-level event”», ha scritto Thomas Friedman sul New York Times, citando ironicamente «Don’t look up», il film Netflix sull’arrivo di una cometa capace di distruggere la Terra e tutto il dibattito che si apre tra esperti e negazionisti.

In Italia però tra i negazionisti della minaccia alla democrazia non ci sono solo i fascisti più o meno dichiarati. Non ci sono solo i leader della destra sovranista che fino all’ultimo hanno finto di credere pubblicamente alla disinformazione trumpiana sulle «elezioni rubate». Ci sono fior di giornalisti e intellettuali di sinistra, c’è un sacco di gente che la sa lunghissima su come va il mondo, e che da anni contribuisce a minimizzare e legittimare le manovre eversive dei nazional-populisti, quando non arriva a farne propri gli stessi slogan contro «le élite» e il «pensiero mainstream».

A tutti costoro suggerirei la lettura del bel saggio di Antonio Nicita, “Il mercato delle verità – Come la disinformazione minaccia la democrazia”, pubblicato recentemente dal Mulino. Ma soprattutto consiglierei non tanto di guardare in alto, ma di guardarsi allo specchio. A importare nella politica italiana le tecniche di disinformazione e destabilizzazione fondate sulla diffusione virale di teorie della cospirazione, a cominciare dalle tesi no vax, non sono stati infatti né i salviniani né i meloniani, ma i grillini. Con il sostegno diretto o indiretto, e la legittimazione, forniti non solo dai loro diversi alleati politici, a seconda dei momenti, ma da un’intera classe giornalistica e intellettuale.

L’anniversario del tentato golpe del 6 gennaio e i numerosi segnali circa il tentativo trumpiano di riprovarci al prossimo giro dovrebbero essere dunque motivo di seria riflessione anche per noi, per guardare con attenzione a quello che sta succedendo all’America e che un giorno potrebbe succedere all’Italia, ma anche per guardarci dentro.

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