Nelle ultime tre settimane, sulla questione decisiva del Quirinale, Giuseppe Conte ha prima dichiarato o lasciato capire che il candidato del Movimento 5 stelle sarebbe stato scelto d’intesa con il Partito democratico, poi che non escludeva di sceglierlo attraverso una consultazione online (dunque senza consultare il Partito democratico), poi che avrebbe dovuto essere una donna (ovviamente senza averlo chiesto prima né al Pd né alla rete), quindi di nuovo che sarebbe stato scelto insieme al Pd e ad Articolo Uno (o almeno così sembrava di capire dalla riunione con Enrico Letta e Roberto Speranza), dopodiché ha fatto sapere di non avere alcuna preclusione verso la candidatura di Mario Draghi, che indiscutibilmente non è una candidatura femminile e che anche in questo caso non appariva concordata né con il Pd, né con Articolo Uno (almeno che si sappia, ma magari invece sì), né con la rete (e questo invece è sicuro), ma soprattutto non appariva concordata con i parlamentari del Movimento 5 stelle che dovrebbero votarlo, i quali il giorno stesso, riuniti in assemblea al Senato, hanno preso pubblicamente posizione, a larghissima maggioranza, per la rielezione di Sergio Mattarella. E già che c’erano, casomai il messaggio non fosse apparso sufficientemente chiaro, hanno chiesto pure che nelle trattative Conte sia affiancato dai due capigruppo che lo stesso Conte aveva cercato di sostituire, ovviamente senza riuscirci.
Se ricordo questa incresciosa sequenza di autogol non è per il gusto di ripetere ancora una volta quanto Conte non sia nelle condizioni di guidare se stesso, figurarsi un partito (per il paese abbiamo già fatto la prova); né per il gusto di ripetere ancora una volta al Pd che glielo avevamo detto per tempo, da queste colonne, come sarebbe andata a finire; né per il gusto di ripetere ancora una volta a me stesso che di qui alle prossime elezioni i sondaggi sulla popolarità di Conte ci appariranno come ci sarebbero apparsi quelli sulla popolarità di Gianfranco Fini dopo le elezioni del 2013 (va bene, devo essere onesto: non solo per questo).
Il motivo principale per cui lo ripeto è un motivo pratico. Perché, per mille ragioni, non ultima la roulette delle assenze dovute ai contagi (e al fatto che alla presidenza della Camera c’è Roberto Fico), l’elezione del prossimo presidente della Repubblica è già abbastanza ricca di incognite.
Aggiungerci anche le prese di posizione di un leader che il suo stesso partito evidentemente non riconosce come tale, ostinarsi nel tentativo di tenerlo in piedi dall’esterno, fingere che rappresenti davvero qualcuno, è solo un ulteriore fattore di confusione e destabilizzazione. Non solo perché, come si è visto, le sue dichiarazioni sono scarsamente rappresentative. Ma soprattutto perché, come spesso accade con il voto sulla presidenza della Repubblica, al punto in cui siamo è assai probabile che qualunque accordo da lui sottoscritto venga fatto saltare nel voto segreto per questo solo motivo: che è stato lui a sottoscriverlo. Forse sarebbe ora di cominciare a tenerne conto.