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Investimenti e vacciniEcco quali sono stati i governi che hanno protetto meglio il lavoro nella crisi Covid

The Adecco Group ha realizzato un white paper dal titolo “Comparing the outcome of Government responses to Covid-19”, frutto del monitoraggio – dal 2020 a oggi – delle misure adottate da 20 Paesi nel mondo per proteggere il mercato del lavoro durante l’emergenza sanitaria

(Unsplash)

Sussidi alle imprese, sostegni al reddito, investimenti. Gli approcci che i governi di tutto il mondo hanno adottato per supportare il mercato del lavoro nel corso della crisi Covid 19 sono diversi di Paese in Paese. Ma quali sono le lezioni chiave che si possono trarre dopo due anni?

The Adecco Group ha realizzato un white paper dal titolo “Comparing the outcome of Government responses to Covid-19”, frutto del monitoraggio – dal 2020 a oggi – delle misure adottate da 20 Paesi nel mondo per proteggere il mercato del lavoro durante la crisi. La raccolta e l’analisi dei numerosi dati ha permesso di ottenere una panoramica sulle diverse azioni e sui risultati ottenuti da ciascun governo, da cui sono emerse otto lezioni chiave.

La prima riguarda la correlazione tra maggiori investimenti e migliori risultati. Generalmente, i Paesi che hanno investito di più a livello economico hanno ottenuto i risultati migliori in termini di minimizzazione dell’impatto della disoccupazione e di velocità della ripresa. Singapore, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e Canada sono i Paesi che hanno puntato maggiormente sul cosiddetto supporto “above the line”, ovvero l’aumento della spesa pubblica o la riduzione delle tasse, raggiungendo una ripresa economica più forte.

Un’analisi dell’evoluzione del tasso di disoccupazione mostra che gli Stati Uniti e il Canada hanno affrontato i maggiori picchi di disoccupazione nel 2020. Tuttavia, sono stati anche i migliori nel ridurre questo divario nel 2021. In alcuni Paesi, come la Corea del Sud e il Giappone, il tasso di disoccupazione è rimasto relativamente stabile. Ma ci sono altri Paesi in cui la ripresa è ancora molto debole: Austria, Belgio, Brasile, Italia, Polonia, Svezia e Regno Unito hanno registrato un tasso di disoccupazione peggiore nel 2021 rispetto al 2020.

Ma su questi risultati non hanno contato solo le misure meramente economiche. L’analisi ha evidenziato infatti che la buona gestione della pandemia a livello sanitario ha prodotto anche buoni risultati economici. Sono stati tre i Paesi a distinguersi per il buon lavoro svolto nella gestione su questo fronte: Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. In tutti e tre i casi, il successo ottenuto nel minimizzare i casi di infezione ha generato performance economiche molto positive. La Corea del Sud, in particolare, nonostante abbia destinato solo il 6,4% del Pil alla gestione dell’emergenza, ha ottenuto risultati ottimali.

Una misura che si è rivelata decisiva sono stati i controlli ai confini. Al contrario di quanto ci si potesse aspettare, dall’analisi non è emerso alcun nesso tra la severità delle restrizioni messe in atto in diversi Paesi e l’impatto del virus, se non per quanto riguarda i controlli alle frontiere. Una misura, quest’ultima, risultata più semplice da applicare per le isole. Ma che, a lungo andare, potrebbe dimostrarsi controproducente: molti Paesi stanno già soffrendo della carenza di lavoratori a seguito delle restrizioni messe in atto.

Tra le misure risultate più efficaci, ci sono poi quelle a supporto delle imprese. I provvedimenti sono stati di varia natura: crediti, sussidi, esenzione o proroga per il pagamento delle tasse, sostegno al congedo per malattia e compensi per i lavori a breve termine. I dati hanno evidenziato che i compensi da parte dei governi per i lavoratori sono stati la misura più efficiente. Tuttavia, non esiste una misura più efficace delle altre: gli Stati Uniti hanno fornito maggiore supporto al business, mentre l’Australia ai lavoratori, ma entrambi i Paesi hanno ottenuto risultati positivi.

Ha contato molto anche la rapidità e la continuità dei sostegni. Il Regno Unito si è posizionato ultimo tra i 20 Paesi analizzati, nonostante abbia investito una delle percentuali maggiori di Pil, il 19,3%. Le ragioni sono due: da un lato, spesso sono trascorsi diversi mesi tra l’annuncio del supporto economico e l’implementazione e in più i sostegni previsti sono stati bloccati prima che negli altri Paesi analizzati.

Importante si è rivelato poi il supporto ai lavoratori autonomi e somministrati, non solo dipendenti. Anche se l’analisi ha dimostrato che in molti Paesi la pandemia ha costretto i governi ad affrontare per la prima volta questo problema con la dovuta serietà.

Decisive, infine, sono state le campagne vaccinali. Dai dati emerge infatti come ci sia una forte correlazione tra la rapidità delle vaccinazioni e quella della ripresa economica. Questo legame è stato perfettamente messo in luce dai due casi opposti di Singapore, dove la rapidità della campagna vaccinale ha portato a una forte ripresa, e dell’Austria, dove invece l’esitazione di fronte al vaccino ha trattenuto la ripartenza.

Certo, spiega il white paper, ognuna delle lezioni emerse presenta delle eccezioni. La Svezia si è posizionata al terzo posto per i risultati economici, ma al sedicesimo per quelli ottenuti a livello sanitario. Allo stesso modo gli Stati Uniti si sono distinti per le performance economiche nonostante gli scarsi effetti sul fronte della salute. L’economia messicana ha mantenuto una stabilità inaspettata a fronte del trascurabile sostegno ricevuto dal governo.

Tuttavia, l’insegnamento da portarsi dietro è chiaro: il modo migliore per minimizzare il danno economico è monitorare l’impatto sulla sanità, e nel frattempo dare sostegni concreti ai lavoratori, inclusi gli autonomi, durante i periodi di restrizioni. Così si può realizzare un veloce ritorno al maggior livello di produttività non appena possibile.

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