Classici contemporaneiIl capitalismo non è per forza rigido e tirannico

A differenza di quanto pensa Max Weber, il teologo e politologo Michael Novak non crede che lo sviluppo del sistema economico moderno dipenda da una specifica mentalità pratica, ma da una serie di condizioni che consentono all’individuo la sua espressione personale inseguendo il rischio, l’esperimento e l’avventura

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Il 17 febbraio di cinque anni fa veniva a mancare Michael Novak (1933-2017), uno dei maggiori studiosi contemporanei del rapporto fra liberalismo e cattolicesimo. Riportiamo di seguito un estratto del libro scritto da Flavio Felice e dedicato proprio al teologo e politologo statunitense. Il volume è la prima uscita della nuova collana pubblicata da IBL Libri sui “Classici contemporanei”, agili volumi che si propongono di offrire al lettore un quadro d’insieme della vita, del pensiero, dei tempi e dell’influenza dei principali filosofi, economisti, giuristi e pensatori politici attivi nella seconda metà del XX secolo. Gli altri due titoli in uscita nel mese di febbraio sono dedicati al premio Nobel Douglass North e ad Anthony de Jasay.

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Storicamente, secondo Weber, lo spirito capitalistico vede la luce simultaneamente all’idea di crescita prolungata; fino ad allora il concetto di crescita economica era legato a un andamento ciclico che conosceva anni di abbondanza e anni di indigenza; la possibilità di aprire nuove prospettive, di allargare i propri orizzonti con il tenace e prolungato uso dell’intelligenza, della fantasia e della laboriosità, è la grande novità portata dallo spirito del capitalismo. Weber in L’etica protestante e lo spirito del capitalismo offre una prima definizione di tale sistema: «Il capitalismo si identifica con la ricerca del guadagno […] di un guadagno sempre rinnovato: ossia della “redditività” […] Un atto economico “capitalistico” deve significare in primo luogo un atto che si basa sull’attesa di un guadagno consentito dallo sfruttamento di possibilità di scambio, dunque su probabilità (formalmente) pacifiche».

Novak ritiene che lo stesso Weber non fosse molto soddisfatto della suddetta definizione, dal momento che la fece seguire da una discussione su sei ulteriori elementi che ne avrebbero dovuto specificare meglio il significato. Weber individua questi elementi nel lavoro libero, nella ragione, nella continua iniziativa, nell’impersonalità del sistema, in uno stabile insieme di leggi e infine nella nascita delle città e delle metropoli.

Novak, benché non si soffermi a lungo sull’analisi degli ulteriori elementi indicati da Weber, non manca di muovere alcune critiche all’impostazione del sociologo tedesco. In primo luogo, per il nostro autore, Weber non colse in modo sufficiente la necessaria connessione dialettica e storica (non necessariamente logica-concettuale) tra libertà economica e libertà politica; in pratica, egli comprese la profonda relazione tra il sistema economico capitalistico e un determinato Geist etico, tuttavia non intuì che anche il sistema politico è una grande forza, che autonomamente, ma non per questo indifferentemente o indipendentemente dai primi due, dà vita a istituzioni, a leggi e a regole sue proprie.

In secondo luogo, Weber descrisse l’intelligenza pratica all’interno del capitalismo democratico come giuridico-razionale, intendendo per essa il comando, la disciplina, una razionalità maniacale, quella che egli stesso chiamò una “gabbia di ferro”.

Novak considera riduttiva la definizione che Weber dà dell’intelligenza pratica del capitalismo democratico; al massimo, quella fornita dal sociologo tedesco potrebbe essere una realistica rappresentazione della razionalità scientifica dell’industrializzazione; tuttavia, sottolinea il teologo americano, bisogna riconoscere che essa non è una prerogativa del capitalismo democratico, poiché il «socialismo scientifico fa lo stesso».

Dunque, secondo Novak, una razionalità di questo tipo non definisce correttamente e in modo autentico lo spirito del capitalismo democratico, il quale è tutt’altro che irreggimentato o racchiuso in una gabbia di ferro, è bensì lo spirito dello sviluppo, del rischio, dell’esperimento, dell’avventura. Esso rinuncia alla sicurezza dell’oggi per un miglioramento del futuro.

Il teologo americano fa notare che il grande merito di Weber fu quello di aver intuito la dimensione morale e religiosa dell’agire economico, di conseguenza, di aver sottolineato alcune forme dello spirito umano indispensabili per la giusta comprensione di qualsiasi attività imprenditoriale, quali ad esempio l’organizzazione, la laboriosità, la disciplina, l’inventiva e lo spirito d’iniziativa.

Tuttavia, se il rilievo dato a tali virtù morali rappresenta la forza delle tesi weberiane, la loro debolezza risiede nell’essere assolutamente ed esclusivamente legate all’etica protestante, calvinista, puritana.

L’esercizio dello spirito del capitalismo richiede il rispetto di alcune fondamentali attitudini, inclinazioni e capacità culturali e morali che sono insite nella costituzione fisica e morale della persona umana. È stata questa, per il nostro autore, la terza e più dura lezione che i popoli dei paesi ex socialisti hanno dovuto imparare dopo aver compreso che l’aver garantito dall’autorità il diritto al lavoro, alla casa, alle cure mediche e all’educazione non è una condizione sufficiente, se tale autorità è emanata da governi non fondati sul consenso ed è diretta a una popolazione sprovvista dei più elementari diritti, tali da permettere ai singoli e alle famiglie di migliorare le proprie condizioni economiche. Il nostro autore vuole così dimostrare che il termine «capitale» non indica il bestiame, la terra o più semplicemente i mezzi di produzione, ma in prima istanza il capitale umano, «la mente dell’uomo, l’inventiva, le conoscenze, le abilità, il know how, lo spirito d’iniziativa, la capacità d’organizzazione, la predisposizione alla cooperazione e alla collaborazione».

Se accettiamo questa definizione di capitale, è chiaro che chiunque voglia intraprendere un’attività imprenditoriale non ha alcun bisogno di essere ispirato da un’etica protestante, in quanto simili capacità appartengono all’uomo in quanto tale. Inoltre, le fondamenta culturali del moderno capitalismo affondano in un periodo storico che precede di diversi secoli la Riforma protestante: esse sarebbero rinvenibili nel fenomeno di urbanizzazione e di nascita della società civile alto-medioevale e nel modo di vivere all’interno dei monasteri benedettini del V secolo.

Nasce così un nuovo modo di intendere la vocazione umana: l’homo agens, orientato con prudenza alla ricerca del profitto, attraverso l’attento calcolo costi-benefici. Lo svolgersi della storia non è più visto necessariamente in modo ciclico o comunque statico. La stessa riflessione sull’agire di Dio nel mondo (teodicea) muta profondamente; l’operare di Dio nella storia è pensato come processuale, aperto, soggetto alla libertà e alla intraprendenza dell’uomo.

Vi è inoltre una singolare unità di pensiero tra l’analisi elaborata dal nostro autore sulle origini cristiane dello spirito d’intrapresa e quanto afferma Alexis de Tocqueville nelle sue riflessioni socio-politiche sulla “Démocratie en Amerique”, quando dice che in America regna una fede popolare e universale nel progresso dello spirito umano.

Tuttavia, è bene sottolineare – come ha sostenuto Nicola Matteucci – che la fede popolare e universale nell’idea di progresso, di cui parla Tocqueville, è sostanzialmente diversa da quella teorizzata dagli intellettuali europei tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo: «Per questi era una filosofia della storia, che aveva nella ragione e nei metodi della ragione la logica del suo sviluppo, mentre in America appariva al Tocqueville come una realtà umana, come una forza vitale, che fuoriusciva da ogni ingenua filosofia della storia, sempre pronta a scambiare le proprie razionali verità con lo sviluppo storico concreto».

Per Tocqueville è la psicologia, la coscienza, l’assoluto presente in tutti gli uomini, e non il volere misterioso e imperscrutabile di una forza a loro estranea o un cieco determinismo economico, a indirizzare l’uomo verso il proprio destino.