Attenzione alle illusioni ottiche. Alle elezioni comunali della prossima primavera Enrico Letta vuol far correre il famoso “campo largo” imperniato sulla alleanza tra Pd e M5s. Il problema però è che nelle città quest’ultimo praticamente o è poca cosa o non esiste proprio. Quindi ci saranno liste di centrosinistra del Pd con alleati locali o liste civiche più che con altri partiti.
Quindi se il messaggio che il segretario dem vuole far passare è quello di una rinnovata alleanza più o meno “strategica” che funziona e che il M5s è un soggetto vivo e vegeto deve fare attenzione perché i numeri lo smentirebbero: non sarà il partito di Giuseppe Conte – anzi, non sappiamo nemmeno se di qui a primavera sarà lui il capo – l’”amico geniale” che farà la differenza.
Sarà interessante vedere le percentuali dei grillini nei 23 capoluoghi dove si voterà (fra questi, ci sono 4 capoluoghi di Regione: Genova, Palermo, Catanzaro, L’Aquila) viste le pessime performance del M5s – sempre e particolarmente nelle ultime tornate – a livello comunale. Pertanto, per Francesco Boccia, il responsabile enti locali del Pd, sarà più utile cercare alleati nella società, nel civismo e caso mai tra i vari spezzoni riformisti che praticare la respirazione bocca a bocca al tramortito partito di Conte e/o Di Maio.
Probabilmente solo a Genova, la città di Beppe Grillo, il M5s ha ancora qualche voce in capitolo, ma anche nel capoluogo ligure tutta la matassa è in mano al Pd che ha trovato in Ariel Dello Strologo (in precedenza era stato scartato il nome di Annamaria Furlan, l’ex segretaria della Cisl) il candidato unitario del centrosinistra contro il forte sindaco attuale, Marco Bucci. Ma vedremo quanto prenderanno i contiani a Catanzaro, a Oristano, a Belluno, a Lodi o a Rieti.
Ma poi ci sono realtà locali dove i dirigenti del Pd guardano al dialogo con Italia viva e finanche con Forza Italia. Da questo punto di vista è clamoroso quanto avviene a Palermo e in Sicilia (le Regionali qui saranno probabilmente dopo l’estate), dove da qualche tempo i dem hanno aguzzato la vista, consapevoli della quasi conclamata spaccatura nel centrodestra.
La figura chiave è quella di Gianfranco Miccichè, storico berlusconiano e vulcanica personalità in grado delle più varie operazioni politiche. Potrebbe essere lui il candidato “centrista” alla presidenza della Regionale dato che l’attuale presidente, Nello Musumeci, non raccoglie i consensi di tutto il centrodestra. E anche Palermo, in teoria, potrebbe essere un laboratorio sullo schema della “maggioranza Ursula”. La cosa divertente è che quando – mesi fa – fu Matteo Renzi a incontrare Miccichè il leader di Italia viva venne coperto di contumelie proprio dalla sinistra: ora che è il segretario del Pd di Palermo, Anthony Barbagallo, a far visita al medesimo Miccichè si dirà che questa è politica.
Ma queste sono polemiche inutili, avrebbe detto Nanni Moretti. Il punto è che la nuova traiettoria politica scaturita dal modo in cui è stato rieletto Sergio Mattarella ed è stato confermato Mario Draghi ha determinato un cambiamento fattuale con l’implosione del centrodestra e lo sgonfiamento grillino che si proietta inevitabilmente sui territori e che porta il Pd a guardare altrove rispetto alla secca in cui si è incagliata la famosa alleanza strategica con il M5s: a livello locale per esempio il rapporto con Italia viva e Azione è molto migliore di quanto non lo sia a Roma. Ed è veramente sorprendente che questa dinamica non venga razionalizzata e spiegata dal Nazareno, laddove si preferisce fare affidamento sulle illusioni ottiche e far finta che la linea non sia cambiata nei fatti, prima ancora che nelle pensose riunioni interne.