Un ritorno per lei, un nuovo inizio per tutti. Con “Smarrimento”, monologo della scrittrice e drammaturga Lucia Calamaro, l’attrice Lucia Mascino torna a calcare le scene del Teatro Parenti, «una casa dell’arte», dice, «con un soffitto blu notte che dà profondità e creatività, un luogo unico sul piano estetico», dove «perfino le docce della foresteria sono dipinte a mano».
Il suo rapporto è di vecchia data, «visto che il primo spettacolo è del 2010», ne ha fatti altri «nove o dieci» e comunque ci torna sempre volentieri, anche a Capodanno («ne ho fatti due») perché quando pensa a Milano «penso al Parenti e da lì immagino il resto della città che sta intorno».
“Smarrimento”, il monologo che sarà in scena dal 11 al 20 febbraio, è stato scritto per lei. O meglio, è stato scritto insieme a lei. «Nasce dal desiderio di lavorare insieme. Avevo visto delle prove aperte di un suo spettacolo ed ero rimasta affascinata, poi ci siamo incontrate per un caffè e abbiamo deciso di provare a fare qualcosa insieme». L’idea vera è venuta più tardi, «quando ci siamo trovate in una stanza e provavo alcuni suoi testi».
L’ambiente non è secondario: il testo è intimo, nasce dall’interno, coglie e segue le sfumature dei pensieri e degli stati d’animo di una persona – una scrittrice, alter ego di Lucia Calamaro – che affastella riflessioni, idee, espressioni. «È una mente che procede libera, in uno smarrimento appunto – mai titolo fu più lungimirante, visto che il testo è del 2019 – che definisce i tentativi di cercare una strada, un inizio nuovo». Se dovesse cercare di spiegarlo in una frase, «è un testo che parla dell’indomabilità della vita, attraverso l’indomabilità del processo artistico». In questo senso «parla di tutti noi, che non possiamo chiuderci di fronte alla realtà, siamo sempre preda di quello che succede, dei regali che ti fa la vita». Il tutto è esposto in modo non lineare, «ma non deve esserlo». L’importante è che il testo «sia ricevibile» e lo è, lo giurano «anche alcuni bambini che a Roma hanno assistito allo spettacolo».
Il monologo esalta anche alcune delle caratteristiche dell’arte che Lucia Mascino ha potuto imparare lavorando per la televisione (celebre la sua interpretazione del commissario di polizia Vittoria Fusco ne “I delitti del Barlum) e per il cinema (insieme a registi come Carlo Mazzacurati, Sabina Guzzanti e Francesca Comencini, tra gli altri). Dal teatro, spiega, si impara «l’allenamento del corpo e della percezione dell’arco temporale: insegna la maratona e la capacità di concentrarsi a lungo», mentre dal cinema si apprende a «essere guardati, più che a far vedere» e la televisione «insegna la velocità e l’istinto». I tempi sono più stretti, non si possono ripetere le scene troppe volte, ci si deve affidare a quello che si sente.
Quando ha dovuto riprendere “Smarrimento” dopo la sospensione pandemica, «Lucia mi ha guidato: appena sentiva qualcosa di recitato, lo toglieva. È stato un lavoro di sottrazione, continuo, che di solito è cinematografico e non teatrale». Ma tutta l’opera – a partire dal fatto che ci sono i microfoni – ha qualcosa del cinema, solo che «qui decido io tempi, modi e inquadrature – muovendomi sul palco. Mentre la scrittura di Lucia, così intima e concreta e mai esagitata si sposa bene con la mia esperienza in video». I suoi testi, spiega, portano freschezza. Necessaria, soprattutto dopo una lunga stagione di smarrimento, in cui si ritrova, come nuovo inizio, proprio al Parenti.