Sanremo Day 3Sul palco del Festival, la rappresentatività di genere femminile fa ciao ciao alle donne

Drusilla Foer e il cortocircuito tra chi considera un uomo travestito da donna avanguardia culturale e chi considera oltraggioso che un uomo vestito da donna si trovi all’Ariston

LaPresse

Alle nove di giovedì sera, mentre Sergio Mattarella si consultava coi suoi legali per chiedere se Amadeus potesse essere incriminato per vilipendio al capo dello Stato per avergli dedicato la canzone in cui Mina dice «sei peggio di un bambino capriccioso, la vuoi sempre vinta tu, sei l’uomo più egoista e prepotente che abbia conosciuto mai», io pensavo a quanto sta facendo questo Sanremo per le donne. 

Ho passato una vita a non capire perché il genere sessuale venisse percepito come una cosa così importante. Cioè, esattamente perché dovrebbe importarmi d’essere donna, a parte i fastidi di sanguinare e di non poter fare pipì in piedi? No, tu non capisci, l’identità, l’importanza, le battaglie: mi sembrava parlassero un’altra lingua. Poi è arrivato il Sanremo 2022, e finalmente ho saputo d’avere ragione. 

È arrivato il Sanremo 2022, e ho capito che le donne non esistono. 

La terza sera, quando la prima donna che sale sul palco è lì teoricamente perché è campionessa di ciclismo, e in pratica per dar modo ad Amadeus di dire che Suzuki è lo sponsor del festival. 

La seconda sera, quando la donna di turno è una che poi ci permetterà di dire: lo vedi come sono le donne, fragili di nervi, le metti su un palco e piangono, gli fai i tweet maleducati e piangono, gli dici di essere sé stesse e piangono. 

La prima sera, quando chiedi a un’attrice che ha lavorato con chiunque, da Ugo Tognazzi ad Alain Delon, di dirti qualcosa di loro, e lei non riesce a dire una cosa interessante che sia una, e lo vedete come sono le donne, non hanno spirito d’osservazione, non vengon buone neanche per gli aneddoti. 

Il principale problema della minore presenza delle donne in alcuni settori, siano essi la presidenza della repubblica o la direzione artistica di Sanremo, è che poi scatta il tic della rappresentatività. Se un maschio fa un record sportivo o vìola una legge o scopre un vaccino o dice una stronzata, l’ha fatto lui; se una femmina esiste, lo fa a nome delle donne, ci rappresenta. Ma chi, ma cosa, ma stai a vedere che Angela Merkel e Valeria Marini hanno qualcosa in comune per il solo fatto d’avere una vagina, ma Helena Christensen se le dite che mi rappresenta vi denunzia per vilipendio estetico. 

Se praticamente tutti i cantanti maschi, a Sanremo, si prestano a quella stronzata chiamata Fantasanremo, l’illusione dell’orizzontalità fatta gag, il cantante che sul palco dice «ciao zia Mara» per far fare punteggio al disadattato che da casa l’ha inserito nella sua fantasquadra, allora vuol dire che tutti i maschi sono scemi? E due femmine che non sono apparse esattamente fulmini di guerra alla coconduzione erano quindi meno rappresentative del loro genere, o di più, o uguale? Quanti fantasanremi idioti ci vogliono per pareggiare con una valletta che non sa leggere dal gobbo? 

Ed è qui che arriva il genio sanremese. Nel ribaltare questo problema e farlo diventare un’opportunità. La terza donna alla coconduzione sanremese? È un uomo. No, non sto dicendo una cosa da femminista vecchia scuola contraria a chiamare donne gli uomini che ci si sentono. Sto parlando di Drusilla Foer, che non è una trans. È Gianluca Gori – trentenne, se le informazioni che si trovano in rete sono esatte – che di mestiere interpreta una nobildonna settantenne. Gianluca Gori ha il pisello, che i postmoderni vi diranno non basti per far di te un uomo neanche in uno spogliatoio della palestra, figuriamoci su un palco. Tuttavia non risulta egli si percepisca detentore di vagina, e l’autopercezione è tutto, no?  

Quindi Gianluca si traveste da Drusilla e, poiché abitiamo il più stupido dei secoli, la polarizzazione è tra chi considera un uomo travestito da donna avanguardia culturale, e chi considera oltraggioso che un uomo vestito da donna sia a Sanremo. Nessuno sceglie di collocarsi nello spicchio di ragionevolezza in cui domandare: certo che avrei adorato sentire Paolo Poli che diceva «dirige l’orchestra il maestro Vince Tempera», ma qualcuno sarebbe mai stato così picchiatello da definire Paolo Poli «una donna»? 

Ieri mattina, Gianluca vestito da Drusilla era in conferenza stampa, e lo spettacolo era osservare il capufficio stampa Rai, cui proprio non veniva da declinarla al femminile, epperò temeva di passare per transfobico o autore di Harry Potter o Checco Zalone rivolgendosi al maschile a un essere umano acconciato e vestito da signora. Quindi si produceva in impossibilità fonetiche, dato che l’italiano è una lingua coi generi. A un certo punto, invitando i giornalisti a far domande a Drusilla, non sapeva se dire «fargli» o «farle»: ha risolto con «chi volesse farli domande». Era tenerissimo, povero. 

Va detto che Gori e il personaggio che ha creato appaiono meno fessi di quanto l’appropriazione del personaggio da parte della militanza cancelletta li vorrebbe far sembrare. All’inizio della conferenza stampa hanno chiesto a Drusilla di esprimersi su Zalone, la domanda era di vibrante dolenza, principiava con «La comunità LGBTQ è spaccata, divisa» (quando dici «comunità» il concetto di cui qualcuno si fa portavoce dovrebbe sembrare meno scemo: poche illusioni sono più fragili). Cosa poteva dire, un personaggio invitato dallo stesso festival che aveva invitato Zalone? Il povero Gori ha fatto inerpicare la Foer per forlanismi quali «se questo solleva un dibattito che porta qualcuno ad avere una convinzione credo che questo sia comunque un valore», come se il problema fosse che non abbiamo abbastanza convinzioni, e non che ne abbiamo troppe. 

Poi però hanno domandato qualcosa sui Sanremo visti da giovane, e Drusilla Foer per un attimo ha fatto quella cosa di farci dire «oddio quant’è vero», ricordando che da giovane trovava più intelligente atteggiarsi a io-Sanremo-non-lo-guardo, e riassumendo il sé d’epoca quasi guccinianamente: «Pensi come si è deficienti a certe età». L’età di quelli che corrono sui social a commentare che loro Sanremo lo schifano, amano solo Drusilla – ma questo secondo me lo sa (la cosa più difficile ma inevitabile per chiunque abbia un mestiere pubblico è rendersi conto che i propri tifosi son ben più scemi dei propri detrattori). 

Che poi io, a un uomo che di lavoro si traveste da donna, condannandosi a scarpe col tacco e altre scomodità, chiederei sempre e solo chi glielo faccia fare, mentre capisco la comodità d’essere uomo con vagina: tanto per cominciare puoi farti crescere la barba a coprire il doppio mento. Forse a un certo punto ha voglia di star comodo anche Gori, e quindi Drusilla Foer la fa uscire sul palco vestita da Zorro, e le fa dire una cosa tipo: visto che c’erano le polemiche per il personaggio en travesti, mi sono travestita. 

Sembra molto più vera lì che alla fine, quando mette in fila i penzierini sulla diversità e l’unicità. Che sono meglio dei penzierini contro il razzismo della sera prima, per la banale ragione che Gori ha un qualche senso della scena e parla per sei minuti, mica per venti. Ma era meglio il guizzo con cui faceva perdere il filo a polemisti e difensori che al mercato mio padre comprò: è un uomo che si traveste da donna travestita da uomo. Altro che unicità, tre ore prima Drusilla aveva dimostrato il teorema d’un certo cantautore casualmente su quello stesso palco nella stessa serata: gli uomini e le donne sono uguali.

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