Questa settimana, il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, in carica da poco più di due mesi, è volato a Kiev e Mosca per discutere con i rispettivi capi di Stato, provando a trovare una soluzione diplomatica alla crisi ucraina. Le due visite arrivano in un momento particolarmente delicato, dopo che la settimana scorsa fonti USA hanno indicato nel 16 febbraio la data scelta per l’inizio dell’invasione (poi non verificatasi), e rappresentano un evidente tentativo di invertire la dinamica che vede la Germania come timida e indecisa nella questione ucraina.
Di fronte alla minaccia di un’invasione russa, la Germania di Scholz non ha esitato ad affermare di essere al fianco di Kiev, e il Cancelliere ha ripetuto spesso che il prezzo pagato da Mosca sarebbe «molto alto». Su cosa si intenda con ciò, però, Berlino è stata finora molto reticente, finendo con il rappresentare per molti l’anello debole dell’Occidente nella risposta alla Russia. Le critiche alla Germania, a livello politico e mediatico, si concentrano soprattutto su tre punti: la mancanza di parole chiare su Nord Stream 2, il rifiuto di inviare armi a Kiev e il non aver mai menzionato espressamente alcune possibili sanzioni.
Nord Stream 2, il gasdotto che dovrebbe rifornire la Germania di gas russo, è da anni al centro di polemiche. Per la Germania è un progetto centrale per rispondere alle sue necessità di approvvigionamento energetico, ma diversi attori, UE e USA in primis, lo considerano una concessione pesante a Putin, che avrebbe una potente leva negoziale in caso di bisogno. A oggi, la struttura è completa, ma non ancora attiva.
Nelle ultime settimane, Scholz ha detto più volte che ogni opzione è sul tavolo, lasciando intendere che tra queste ci sia anche Nord Stream 2, ma una dichiarazione chiara e netta in questo senso non è mai arrivata. La cosa ha infastidito non poco gli USA, con Biden che, durante la conferenza stampa tenuta con Scholz in occasione della visita di quest’ultimo alla Casa Bianca, è arrivato ad affermare esplicitamente come sia impossibile pensare di proseguire con Nord Stream 2 in caso di invasione dell’Ucraina.
Inoltre, contrariamente ad altri Paesi europei e NATO, la Germania ha sempre rifiutato apertamente l’ipotesi di spedire armi di difesa a Kiev. Formalmente, ciò è coerente con le leggi tedesche, che vietano al Paese di vendere armamenti in zone dove sia presente un conflitto (o potrebbe crearsene uno a breve), ma Kiev legge questa posizione come un modo per non indispettire Mosca.
La vicenda ha assunto tratti grotteschi quando, di fronte alla richiesta ucraina di ricevere centomila divise, da Berlino sono arrivati cinquemila elmetti, accompagnati dalla dichiarazione di Christine Lambrecht, ministra della difesa, secondo cui la cosa costituiva «un chiaro segnale» verso Mosca.
Tutto ciò sembra confermare l’immagine di una Germania inerte, intenzionata a non scontentare nessuna parte in causa ma al tempo stesso incapace di prendere davvero posizione, e ha causato diverse critiche al governo anche sulla stampa tedesca. Ha inoltre aumentato la diffidenza dell’Ucraina sull’autenticità del sostegno tedesco, con il sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, che sulla Bild ha chiesto se la prossima volta i tedeschi prevedessero di inviare cuscini, mentre l’ambasciatore ucraino a Berlino, qualche giorno fa, ha accusato la Germania di ipocrisia su Twitter a causa dei 366 milioni di export nel 2020 verso la Russia per beni che potrebbero essere usati anche a fini bellici.
Anche sulle sanzioni specifiche da attivare in caso di invasione, però, finora la Germania non si è sbilanciata: in una recente intervista alla CNN, Scholz ha affermato che «ogni misura sarà presa in accordo gli Stati Uniti», lasciando supporre che Berlino si adeguerà alla linea comune che dovesse emergere nel blocco occidentale. Le ipotesi più forti, però, come l’esclusione di Mosca dal circuito di pagamento Swift, peserebbero fortemente su Berlino, che con la Russia ha molti scambi. E infatti, l’ipotesi non è mai stata incoraggiata dalla Germania.
Se oggi Berlino appare in difficoltà, però, è soprattutto perché la questione ucraina mette la Germania di fronte a quello che è da tempo un suo grande timore, e cioè la possibilità che lo spazio geopolitico occupato ai tempi di Angela Merkel si sia chiuso definitivamente. La tradizionale Ostpolitik tedesca, che vedeva il Paese ancorato all’Europa e alla Nato ma vicino alla Russia nell’ottica di pacificare l’area e avvicinare Mosca all’Occidente, oggi potrebbe non essere più possibile. Finita l’era merkeliana, Scholz deve traghettare la Germania nel nuovo mondo, scoprendo prima di tutto se, e in che forme, oggi è ancora possibile una Ostpolitik.
La questione, però, non riguarda solo l’identità geopolitica tedesca, ma anche il destino di Olaf Scholz e della SPD come centro di gravità della maggioranza post-merkeliana. La vicenda ucraina, infatti, oltre che mostrare le questioni irrisolte per la Germania a livello internazionale, ha fatto emergere una serie di insidie interne per il neo Cancelliere, tanto nel partito quanto nel Paese.
Dopo una vittoria elettorale impensabile fino a poche settimane prima del voto, il governo Scholz ha iniziato la sua attività forte di un grande sostegno. A metà gennaio, ad esempio, il 65% degli intervistati in un sondaggio ZDF affermava di avere molta fiducia nel nuovo Cancelliere, giudizio condiviso anche da molti elettori (più di uno su due) di partiti distanti come cristiano-democratici e liberali. Oggi, però, la luna di miele sembra finita: in un sondaggio Forsa del 15 febbraio, la percentuale di chi ha fiducia in Scholz è scesa al 40%, mentre la SPD è al 23% circa, superata dalla CDU.
La gestione della questione ucraina, quindi sembra ripercuotersi sul Cancelliere e sul suo partito, indebolendone l’autorità anche all’interno della maggioranza. Ma optare per una linea più netta, per Scholz, non sarebbe facilissimo. La SPD, infatti, è storicamente fautrice di un dialogo costruttivo con la Russia e con il blocco orientale. Inoltre, l’ex cancelliere socialdemocratico Gerard Schröder ha stretti rapporti col Cremlino, ed è a capo del consorzio responsabile per la costruzione di Nord Stream 2.
Oggi, la posizione di Schröder sulla Russia è ancora ascoltata nel partito, e secondo quanto riportato recentemente dalla Süddeutsche Zeitung, a inizio gennaio l’ex capo di governo avrebbe incontrato alcuni esponenti del partito in un meeting a porte chiuse per discutere dei rapporti tra Russia e Germania. A dicembre, inoltre, in una votazione su una risoluzione del Parlamento Europeo sulla situazione al confine ucraino, 13 eurodeputati SPD si sono astenuti o hanno votato contro il testo, critico verso Mosca.
La situazione è tale che, sempre nell’intervista alla CNN citata poco fa, Scholz è stato incalzato sulla questione, ribadendo come «Schröder non parla a nome del governo» e trovandosi a dover dire «adesso il Cancelliere sono io».
Per Scholz, quindi, la crisi ucraina non è soltanto il primo banco di prova geopolitico, da cui potrebbe dipendere il volto della Germania nei prossimi anni, ma è anche un indicatore pericolosissimo di dissidi presenti nel suo partito, che pesano negli equilibri di maggioranza e nei rapporti con l’elettorato. La linea tenuta finora ha sicuramente indisposto gli alleati americani e diversi attori europei, ma ha permesso al cancelliere di evitare l’esplosione di tensioni con effetti potenzialmente molto gravi all’interno della SPD e sul livello nazionale. Un’operazione che si regge su di un equilibro, interno e geopolitico, fragile.
Tuttavia, in caso di descalation, Scholz potrebbe legittimamente presentarsi come uno dei vincitori della vicenda, avendo sempre sostenuto la necessità di insistere sulla via del dialogo senza strappare troppo con il Cremlino, e potendo continuare ad alimentare i rapporti con la Russia così necessari per Berlino. Anche nella maggioranza, il neo Cancelliere potrebbe rivendicare il successo della sua linea morbida, contro gli alleati verdi e liberali tradizionalmente duri verso la Russia. A quel punto, la posizione tedesca, che oggi appare timida e insufficiente a molti, apparirebbe lungimirante e forse determinante nell’impedire una degenerazione del conflitto.
In questo scenario, Scholz apparirebbe sotto tinte molto diverse da quelle con cui è stato dipinto nelle ultime settimane, e la sua mancanza di posizioni nette nel caso ucraino potrebbe diventare la sua forza: per uno che molti elettori vedevano come il candidato più simile ad Angela Merkel, in effetti, non sarebbe impensabile.