Milano ha una peculiarità: è una città in grado di catalizzare attenzione, odio o amore incondizionato e, da qualche anno, anche una discreta quantità di progetti editoriali. Alcuni di questi vivono sul web, altri su Instagram, e uno in particolare entra direttamente nelle case delle persone: The Milaneser è infatti una rivista immaginaria – creata sulla base del celeberrimo New Yorker – le cui copertine sono stampe acquistabili.
The Milaneser è nato dall’idea di Lara Aldeghi, copywriter, e Stefano Lionetti, art director del progetto e partner di ZetaLab, studio di comunicazione visiva con quartier generale nel quartiere Isola: «Tutto è cominciato nel 2019 da una battuta e sulla scia di altri progetti editoriali che si accodavano al The New Yorker come il The Parisianer e il The Tokyoiter: manca The Milaneser, ci dicemmo. La prima copertina è uscita il 7 gennaio 2020: da lì abbiamo fatto 52 copertine all’anno per i primi due anni, mentre dal 2022 abbiamo deciso di uscire una volta ogni due settimane, per dare più respiro alle copertine quando escono».
Dall’idea alla realizzazione il passo è stato breve?
Per niente: quello che ci ha consentito di partire veramente col progetto è stato il primo lockdown, quando tutto il resto del lavoro si è fermato e abbiamo avuto il tempo e il modo di dedicarci alla creazione di The Milaneser. Era anche un contesto in cui Milano era sofferente, per via dell’associazione con Codogno e in generale perché colpitissima dal Covid nei primi mesi della pandemia. Passare dall’idea alla realizzazione pratica però è stato molto difficile: per simulare un’ideale uscita settimanale di un magazine abbiamo dovuto contattare 52 illustratori, per di più volevamo che fossero italiani, per valorizzare anche questo aspetto della nostra cultura, e il requisito era che fossero tutti molto alti, la crème degli artisti italiani. Inizialmente abbiamo preso tanti no e tante porte in faccia, soprattutto dagli illustratori più quotati, che abbiamo contattato quando il progetto era in fase ancora embrionale e non ci conosceva nessuno. Alcuni poi, una volta visto il risultato, sono tornati sui loro passi e ci hanno richiamato dicendosi disposti a partecipare.
C’è una logica con cui è strutturato il calendario editoriale?
Il contenuto editoriale è qualcosa su cui noi lavoriamo tantissimo, anche perché dobbiamo dare una lettura eterogenea anche a livello grafico, ad esempio relativamente alla palette di colori in una vetrina come può essere il profilo Instagram. Il primo anno abbiamo chiesto un brief molto generico, un racconto di Milano vista dagli occhi di ciascuno degli illustratori, poi man mano abbiamo sentito l’esigenza di strutturare un calendario editoriale che prendesse queste illustrazioni un po’ generiche e le vincolasse a degli eventi che accadono in città: dalla prima della Scala per Sant’Ambrogio, alla Fashion Week, fino alle Olimpiadi del 2026. Abbiamo cercato di farlo ex post, a partire dalle immagini che ci arrivavano. L’anno successivo invece abbiamo dato un brief un po’ diverso, chiedendo agli illustratori di restituirci una Milano onirica, immaginata, sognata: questo ci ha svincolati molto dall’attualità, anche perché dovendo conciliare The Milaneser con il resto del lavoro di ZetaLab abbiamo la necessità di anticipare di molto la produzione, e questo è in aperto contrasto con l’attualità.
Quali sono le principali sfide del raccontare Milano per immagini?
C’è sempre una sorta di dicotomia nel racconto di Milano, tra i detrattori e chi la celebra in ogni caso: questi eccessi tendono a non cogliere la complessità della città, mentre noi, nel nostro racconto, vogliamo comprenderla. Milano si piace e i milanesi sono persone che stanno bene nella loro città e hanno voglia di raccontarla, ma a noi non interessa restituire una narrazione che sia esclusivamente celebrativa, vogliamo che il racconto tenga conto della complessità e delle moltissime sfaccettature che ne fanno la città che è. E poi non vogliamo raccontare solo luoghi, ma anche come la città si sia evoluta a livello sociale: una delle copertine contiene degli uomini della finanza con il volto di squali, perché Milano è anche questo: una città che sa essere spregiudicata, dove c’è molta ricchezza, ma anche tante persone che non arrivano a fine mese. Nascondere lo sporco sotto il tappeto non è la direzione in cui vogliamo andare, il nostro intento principale è la diffusione culturale della città: lo scopo del progetto è duplice, da una parte raccontare Milano e dall’altra promuovere l’illustrazione».
Il progetto sta piacendo?
Molto, anche se troviamo una certa discrepanza tra quella che è la volontà di creare un racconto di Milano il più possibile completo e sfaccettato e gli acquisti che poi vengono fatti delle copertine, che attesta il pubblico in una fascia un po’ generalista. La maggior parte delle persone che comprano le cover di The Milaneser cerca un racconto di Milano molto personalizzato e, soprattutto, celebrativo. Anche la pioggia o la nebbia piacciono se raccontate in maniera bella, positiva. Noi possiamo anche proporre narrazioni che vanno in direzioni lontanissime rispetto a quella che è la glorificazione della città, ma poi gli acquisti non ci seguono, andranno sempre nella direzione celebrativa.
Avete delle richieste?
Moltissime. C’è un campanilismo incredibile quando si parla di Milano. L’attaccamento ai quartieri, in particolare, è fortissimo, e questo sia che si tratti di Porta Venezia che di Gratosoglio. Riceviamo tante mail, o messaggi su Instagram, con richieste di specifici quartieri. Le persone vogliono riconoscere se stesse: cercano nella stampa un ricordo, o un’emozione personale. E raccontare la città attraverso le emozioni personali è quello che noi chiediamo ai nostri illustratori. Non ci interessa avere il Duomo o il Bosco Verticale se l’illustrazione non comprende anche stratificazioni di senso ulteriori, che poi è quello che cerchiamo di declinare attraverso le didascalie, dando un valore editoriale aggiunto. Uno dei quartieri più richiesti, e che ancora non c’è, per esempio, è Nolo (acronimo che sta per North of Loreto), una zona che è stata particolarmente modificata dalla gentrification: tra le cose che ci proponiamo di fare infatti c’è anche il raccontare l’evoluzione della città e dei suoi quartieri.