Transizioni illuminateIl settore dell’auto è il banco di prova per il futuro economico italiano

Per affrontare le situazioni di crisi e cambiamento che vivono settori, territori e aziende servono interventi congiunti e integrati. Qui un ruolo centrale andrà attribuito alle politiche del lavoro a supporto dei passaggi occupazionali, che devono essere agganciate alle strategie di rilancio dei sistemi produttivi

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Bosch ha annunciato 700 esuberi nello stabilimento di Bari, patria del diesel common rail. Marelli ha comunicato ai sindacati il rischio per 550 dipendenti. La pisana Vitesco Technologies prevede 750 esuberi dal 2024. E se colossi del genere non riescono a stare al passo con la riconversione verso l’auto green, cosa succederà alle piccole e medie imprese e ai produttori di componentistica?

Una tempesta perfetta si sta abbattendo sul settore automotive: la crisi dei chip, il caro energia e dei costi delle materie prime, i volumi di produzione incerti a causa della pandemia e, soprattutto, la transizione ecologica.

Una profonda e radicale trasformazione, funzionale a sostenere la svolta green, confermata dalla recente decisione del Comitato interministeriale per la transizione ecologica (Cite) di fare propria la linea dell’Ue: dal 2035 stop alle immatricolazioni di auto con motore endotermico, benzina, diesel o ibride, con la sostituzione dei veicoli con motore a combustione interna.

Uno studio commissionato dall’Associazione europea che riunisce i fornitori automobilistici Clepa, elaborato da PwC Strategy per valutare l’impatto del Green Deal sull’occupazione tra i fornitori di automobili in tutta Europa nel periodo 2020-2040, ha rilevato che un approccio alla trasformazione del mondo automotive esclusivamente basato sui veicoli elettrici metterebbe a rischio oltre mezzo milione di posti di lavoro in tutta Europa.

L’Anfia, Associazione nazionale filiera industria automobilistica, citando la Clepa, sostiene che l’Italia rischia di perdere, da qui al 2040, circa 73mila posti di lavoro, di cui 67mila già nel periodo 2025-2030. E anche dal ministero dello Sviluppo economico è arrivata una mappatura della filiera della componentistica italiana che mette in evidenza come ci siano ben 101 imprese a rischio, che insieme raccolgono il 17% dei dipendenti e del mercato nazionale.

La previsione è che la transizione porterà a un taglio del numero di componenti necessari pari all’85%, da 1.400 a 200, soprattutto nel comparto specializzato sulla combustione interna. Su cui però la filiera italiana è profondamente sbilanciata.

Il nostro Paese ha una lunga tradizione nell’industria del motore a combustione, non solamente in riferimento a marchi storici come Ferrari, Lamborghini, Alfa Romeo, Lancia e Maserati. La componentistica auto è un’industria importante per il Paese, con molte punte di diamante: basti pensare a Brembo, Marelli, Landi Renzo, Dell’Orto. Nel 2020 i componentisti auto hanno fatturato, in Italia, 45,6 miliardi, con 160mila dipendenti; per il 2019 parliamo di 50,8 miliardi e 164mila dipendenti.

E se i grandi colossi hanno maggiori capacità di riconversione e prospettive di innovazione, con la transizione all’elettrico forzata, il pilastro della manifattura made in Italy della componentistica automotive è a forte rischio. Si prevede che, senza interventi di sostegno alla transizione ecologica e alla costruzione di Gigafactory europee, la messa al bando dei motori endotermici a partire dal 2035 decreterà la dipendenza della filiera europea dell’automotive dalla Cina, che produce l’80% delle batterie mondiali.

In primis, è necessario ripensare i modelli produttivi e aggiornare produzione, competenze e know how specifici. L’auto elettrica è infatti strutturalmente più semplice e il motore necessita di un numero minore di componenti. Ma la riconversione non avviene dall’oggi al domani. Eppure, nonostante la transizione imposta al settore non sia di certo una sorpresa, l’industria si è presentata all’appuntamento del tutto impreparata. Correndo il rischio di perdere uno spazio nella nuova mobilità sostenibile e dover rinunciare a uno dei fiori all’occhiello del nostro made in Italy.

Secondo il report di McKinsey “The net-zero transition: What it would cost, what it could bring”, che analizza la portata dei cambiamenti economici necessari a raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette, la transizione verso un futuro a emissioni zero, a prescindere dal settore, se ben gestita, potrebbe portare a un saldo positivo di 15 milioni di nuovi occupati entro il 2050.

Serve la capacità di guardare in prospettiva. E bisogna creare fin da ora le condizioni. Gli ingredienti sono: capacità di analisi e di previsione delle evoluzioni imposte ai sistemi produttivi e dei corrispondenti profili di competenza previsti per sostenere e alimentare la crescita; capacità di programmazione e di progettazione di interventi, misure e servizi coordinati e integrati in termini di politiche e risorse di differente natura – dal lavoro allo sviluppo, dalla formazione all’innovazione; coerenza nell’implementazione, adeguatezza e costanza nel monitoraggio di quanto messo in campo, alla luce di quanto programmato.

Un intervento a supporto della gestione della transizione o della crisi di un’azienda, di un settore, di un territorio non può prescindere da questi aspetti. Partendo da una adeguata dose di obiettività. «Sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi», ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi, aprendo il dibattito sulle «aziende zombie», ovvero quelle aziende che, ormai improduttive, si mantengono in vita solo grazie all’intervento dello Stato. Il rischio, secondo Draghi, è quello di creare, con gli interventi governativi post-Covid, «masse» di imprese di questo tipo, «mantenendo in piedi un’inefficiente allocazione delle risorse».

Occorre un approccio strategico, che sappia intervenire a sostenere le transizioni e innovare. Le situazioni di crisi e di transizione che vivono settori, territori e aziende devono essere affrontate mettendo in campo interventi congiunti e integrati, nei quali un ruolo centrale deve essere attribuito alle politiche del lavoro a supporto delle transizioni occupazionali agganciate alle politiche definite per il rilancio dei sistemi produttivi: interventi illuminati da una visione strategica del futuro che si prospetta e che si vuole costruire per quel settore, per quel territorio, per quella azienda, in modo da poter innescare una crescita che guardi al futuro.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, gli interventi di riforma degli strumenti di sostegno al reddito e quelli di sostegno dell’occupazione previsti dal Programma Gol, Garanzia di occupabilità dei lavoratori, rappresentano un’occasione imperdibile, se il sistema sarà in grado di tradurre quest’approccio integrato e strategico in interventi, in misure, in servizi. Il settore dell’automotive rappresenta uno dei tanti banchi di prova per un Paese chiamato a progettare il proprio futuro economico, in modo che sia sostenibile, duraturo, illuminato.

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