Cosa faremo da grandiNei prossimi mesi le istituzioni europee si giocano una parte importante del loro futuro

Le recenti riunioni di Eurogruppo ed Ecofin hanno affrontato temi cruciali come il caro-energia, l’inflazione, il meccanismo di stabilità. In più, entro la fine dell’anno dovrà essere presa una decisione sul Patto di Stabilità. Nel 2022 l’Ue dovrà prendere decisioni che determineranno il suo sviluppo economico, politico e identitario

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La riunione dell’Eurogruppo a diciannove del 17 gennaio e quella dei ministri delle finanze dell’Unione europea a ventisette (Ecofin) del 18 gennaio sono servite essenzialmente per tastare il polso ai nuovi ministri tedesco, austriaco, olandese e lussemburghese, tutti convinti che, per molti mesi, la corsa delle istituzioni europee e nazionali verso la riforma della governance economica e finanziaria si giocherà come una gara ciclistica di velocità su pista, dove tutti i corridori useranno la tattica dilatoria del surplace.

Viene attribuita al primo presidente della Commissione europea, Walter Hallstein, l’analogia fra la corsa della bicicletta e l’integrazione europea: ambedue se non camminano rovinano per terra ed evidentemente Walter Hallstein credeva poco nell’efficacia della tattica del surplace ed era comunque convinto che, alla fine del surplace, bisognasse riprendere la corsa e vincere se si fosse accettato il principio (sbagliato) che nella corsa dell’Europa i Paesi membri non sono alleati nella stessa squadra, ma avversari.

Eurogruppo e Ecofin hanno affrontato, sotto l’occhio attento delle istituzioni sovranazionali (Commissione europea e Banca centrale europea), questioni di interesse comune come il caro-energia, la crescita dell’inflazione, le prospettive dell’economia europea in attesa del rapporto della Commissione europea dell’11 febbraio e se si uscirà dalla pandemia, il cammino verso l’unione bancaria e, soprattutto, la riforma del Patto di stabilità e crescita nato nel 1993 dalle costole del Trattato di Maastricht, di cui ricorderemo il 7 febbraio i trent’anni dalla sua firma.

Nella sola dimensione a diciannove i ministri hanno affrontato – en passant – la questione del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes), che è stato modificato nel 2020 con un accordo unanime per facilitare le misure a sostegno delle banche e dunque il completamento dell’unione bancaria. Ma essendo un trattato internazionale dovrà essere ratificato da tutti i parlamenti nazionali.

Mancano all’appello Francia e Portogallo che giustificano il ritardo per le complicazioni tecniche delle procedure parlamentari, sorvolando sul fatto che la Francia è già in campagna elettorale e che il Portogallo ha appena rinnovato l’Assemblea della Repubblica.

Mancano anche la Germania, che è in attesa di una sentenza del Tribunale costituzionale di Karlsruhe che dovrebbe essere emessa entro la fine di marzo, e l’Italia, avendo il nostro ministro delle finanze Daniele Franco informato i colleghi ministri che il governo Draghi ha depositato davanti al Parlamento italiano gli strumenti di ratifica e che è in attesa del completamento delle procedure parlamentari.

Quel che Daniele Franco non ha precisato è la doppia incertezza politica che pesa sulla ratifica italiana, in particolare per la nota ostilità di Lega e Cinquestelle.

Quel che è certo è che entro la fine del 2022 dovrà essere presa una decisione sulle modalità di funzionamento del Patto di Stabilità e di Crescita, la cui sospensione introdotta per gli effetti della pandemia scadrà il 31 dicembre 2022 e che, se non fosse modificato, spetterà alla Commissione europea “interpretarlo” alla luce della situazione economica e finanziaria dei paesi membri.

Sappiamo già che la Commissione europea presenterà una sua proposta dopo le elezioni legislative in Francia del prossimo giugno e che l’esecutivo europeo ritiene che debba essere avviata una riforma dell’insieme della governance economica dell’Unione economica e monetaria e che essa comprende non solo il Patto del 1993 ma tutti gli strumenti adottati dopo la crisi finanziaria del 2007-2008 (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack, Semestre europeo) essendo questa tematica legata alla distinzione non teorica ma maledettamente concreta fra chi ritiene che la crescita (economica) facilita la stabilità (finanziaria) – come ha affermato il ministro francese Le Maire e come è sottinteso diplomaticamente nella presa di posizione di Emmanuel Macron e Mario Draghi – e chi ritiene invece che la stabilità, e cioè la sostenibilità del debito nazionale, precede ed è una condizione degli investimenti che garantiscono la crescita, come ha ribadito il nuovo ministro delle finanze tedesco Lindner all’unisono con quelli austriaco e finlandese, trovando una crepa nel muro dei frugali creata da una linea più aperta del nuovo governo olandese.

La crescita, del resto, non può essere solo legata alla capacità e al diritto di investire in spese pubbliche a livello nazionale – golden rule – grazie anche ai prestiti (loans) che dovranno essere rimborsati dai Paesi che li hanno contratti e alle sovvenzioni (grants) nel quadro del Next Generation Eu, come risposta all’emergenza della pandemia ma alle sfide della transizione ecologica e digitale che dureranno ben al di là del 2026 – e dunque dei Pnrr – e che richiederanno investimenti europei, dunque risorse europee.

Il caro-energia e l’aumento dell’inflazione (che le banche centrali avevano erroneamente stimato intorno all’1% e che è arrivato nell’Eurozona al 3-3,5%) sono strettamente collegati, dovranno fare i conti con la situazione geopolitica (dove le eventuali sanzioni alla Russia in caso di un aggravamento della tensione al confine con l’Ucraina sapendo che i nostri approvvigionamenti dipendono per il 50% dal gas russo) e con il fatto che l’Unione europea nel suo insieme non ha alcun potere in materia di approvvigionamenti in risorse prime energetiche.

A quasi cinquanta anni dalla crisi energetica scoppiata nel 1973, che provocò la prima politica di austerità e la rottura della solidarietà fra i Paesi europei, siamo tutti perfettamente coscienti della assoluta interdipendenza fra i nostri sistemi industriali, in particolare nel manifatturiero: una crisi nel settore produttivo italiano provocherebbe effetti immediati in quello tedesco e viceversa.

Potrebbe apparire un inutile ritornello ma le discussioni nell’Eurogruppo e nell’Ecofin (sapendo che presto l’Eurozona accoglierà i Paesi che ne sono rimasti fuori per ragioni economiche come Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca e Romania, che Polonia e Ungheria dovranno decidere se vogliono far parte a pieno titolo della famiglia europea ivi compresa la moneta unica, che la Svezia dovrà essere chiamata o prima o poi al rispetto del trattato che non le ha concesso nessun opting out lasciando fuori solo la Danimarca) hanno messo in luce ancora une volta che – al di là dei problemi di tecnica finanziaria – è in gioco tutto il futuro dell’Unione europea.