Tutto in una scatolaDall’Italia all’Ucraina, le razioni K contengono la storia

È il minimo indispensabile per sopravvivere in guerra, la “mini dispensa” dell’Esercito Italiano che permette a chi è al fronte di nutrirsi. È il condensato di quello che serve per resistere in guerra, e dal nostro Paese arriva in Ucraina, con il suo contenuto di alimenti, accessori indispensabili e memoria

Le scarpe, un vecchio paio di anfibi, erano lì in bella mostra nella vetrinetta di uno dei tanti musei dello sbarco. La ragazzina li osservava con attenzione. L’anziano con la camicia a scacchi le si avvicinò per dirle in inglese: «Sono le mie». E per quanto potesse sembrare incredibile, era proprio così.

Normandia metà degli anni 90. Il vecchio reduce era stato richiamato in Francia quando il suo carro armato era stato ripescato dalle acque di Port en Bessin. Il 6 giugno del 1944, il D Day, il blindato, presentato come “anfibio”, era miseramente affondato, ma lui era riuscito a salvarsi: aveva continuato la guerra e la sua vita. Fino a quel giorno, quando dall’Europa gli avevano comunicato che il carro era stato recuperato e che al suo interno c’erano ancora tutti, e intatti, i suoi effetti personali: le scarpe, il sacco con la mantellina impermeabile, le munizioni, gli occhiali da sole, la foto della sua ragazza. Con la comunicazione era arrivato anche l’invito a tornare sul mare di Normandia per collaborare all’allestimento della mostra. E così aveva fatto, ordinando sui ripiani la sua dotazione di soldato: vestiario, armi, ma anche scatolette di carne, gallette, gelatine di frutta, tavolette di cioccolato, apriscatole, pastiglie per disinfettare l’acqua, sigarette. Era l’intero contenuto della sua Razione K. Più o meno quella che in questi giorni l’Esercito Italiano sta spedendo in Ucraina.

Perché le confezioni compatte di generi di prima necessità (tre pasti, non deperibili e immediatamente pronti per il consumo, e una serie di accessori) sono state inventate in America nel 1941 dal fisiologo Ancel Keys (da cui la sigla K) e distribuite ai soldati Usa in azione in Europa e nel Pacifico: una mini-dispensa di 870 grammi con cibo per 3200 calorie e altri piccoli oggetti. Da lì le razioni si sono diffuse in tutti gli eserciti. Tutte uguali nella funzione e, più o meno, nel peso. Tutte diverse nella scelta dei prodotti e nella composizione dei pasti, modellati sulle diverse abitudini alimentari.

Oggi la Razione K in dotazione ai militari italiani offre, come nella versione Usa di ottant’anni fa, una colazione, un pranzo e una cena, ma per un totale di 4000 calorie. La colazione comprende pane o cracker, marmellata, cioccolato, caffè e tè liofilizzati, biscotti e una barretta energetica. Per pranzo sono assicurati un primo (pasta e fagioli, tortellini al ragù), un secondo (tonno e piselli, wurstel, tacchino), grissini, barrette e una bevanda energetica, oltre a una macedonia di frutta. A cena il “menù” propone un piatto unico (minestrone in scatola, insalata di riso e pollo), grissini, cereali. E, in aggiunta, una bevanda al cappuccino, gomme da masticare senza zucchero, stuzzicadenti, salviette umidificate, oltre allo spazzolino da denti e alle compresse per disinfettare l’acqua. E sono queste le confezioni che arriveranno in Ucraina: per scaldare i pasti in queste fredde giornate non c’è più in dotazione, come un tempo, il fornelletto da campo, ma una soluzione che innesca una reazione chimica e fornisce il calore necessario.

Per tornare a quel primo formato made in Usa bisogna ricordare che le Razioni K arrivarono in Italia con gli Alleati e fornirono scatole di Corned Beef, tavolette di cioccolato e sigarette ai tanti che si accalcavano per acclamare i liberatori che risalivano la penisola. E non solo. Fra lattine di carne e insaccati di maiale si potevano trovare anche fette di bacon, che, fritte con le uova strapazzate, rappresentavano un’ottima colazione all’americana, ma potevano essere usate anche per condire la pasta. Magari con l’aggiunta di un paio di uova e una spruzzata di pecorino. Vi suona familiare? È il grande mistero della nascita della carbonara: fra le tante ipotesi c’è anche questa. E forse, speriamo, anche da queste nuove razioni nascerà qualcosa di buono.

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