Invasione nel pantanoL’esercito russo è davvero a un passo dal collasso?

L’industria militare di Mosca, disfunzionale e arretrata, deve fare i conti con le sanzioni internazionali e la fragilità finanziaria del Paese. L’impatto sul conflitto inizia già a farsi sentire, ma l’arsenale del Cremlino è ancora molto vasto

AP/Lapresse

Il fallimento dell’operazione-lampo contro Kiev ha cambiato la natura dello scontro fra Nato, Ucraina e Russia. Molte capitali occidentali si stanno ormai abituando all’idea di uno scontro prolungato, e i pacchetti di sanzioni decisi da Unione europea, Stati Uniti e Alleanza atlantica riflette questa prospettiva.

Molte delle sanzioni sono pensate per imporre un costo intollerabile all’aggressore, senza però avere un impatto diretto sulla capacità del Cremlino di continuare la campagna. Esistono però anche misure che colpiscono direttamente l’industria militare della Federazione Russa e che potrebbero, nel medio periodo, azzopparne le capacità belliche.

La guerra dei chip
Il «Complesso Militare-Industriale», o OPK come è ufficialmente disegnato dalle autorità russe, rappresenta uno dei pilastri del potere di Putin. Le 1281 aziende incluse nella definizione impiegano circa 2 milioni di lavoratori e compongono uno dei settori della Difesa più sofisticati del mondo.

Il processo di ricostruzione delle forze armate lanciato dopo l’invasione della Georgia (2008) è stato tutto sommato un successo, e le innovazioni dottrinali testate sul campo in Siria sono state possibili soprattutto grazie a un balzo tecnologico intrapreso in questi anni.

Questo non vuol dire che l’esercito russo sia particolarmente moderno. Buona parte delle forze armate fa ancora affidamento sul materiale ereditato dagli arsenali dell’Unione Sovietica, e molti dei sistemi più sofisticati come droni, sistemi missilistici e strumenti per l’electronic warfare prodotti negli ultimi quindici anni affonda le radici in progetti concepiti negli ultimi giorni dell’Urss.

Nel mondo della Difesa è piuttosto normale che la ricerca e lo sviluppo (R&D) di nuovi sistemi d’arma duri parecchi decenni. Tuttavia, è proprio grazie alla complessità di questi progetti che l’Occidente spera di poter intaccare le capacità di combattimento russe.

La principale vulnerabilità di Mosca risiede nella dipendenza del Paese da semiconduttori stranieri. L’embargo imposto dagli Stati Uniti in questo settore e la minaccia di sanzioni secondarie contro produttori disposti a esportare chip in Russia avrà effetti devastanti sulla produzione di aerei, missili, radar e buona parte dell’hardware delle forze armate.

Un mezzo di combattimento moderno ha per certi versi più cose in comune con uno smartphone che un veicolo della Seconda Guerra Mondiale. Il parco veicoli di un esercito – a cui si aggiungono i sistemi antiaerei, le forze missilistiche e l’aviazione – è dotato di sensori e sistemi di comunicazione necessari per coordinare le formazioni sul campo, e rinunciare a certe componenti è sostanzialmente impossibile.

Un’industria militare disfunzionale
L’embargo di Washington sui semiconduttori, e soprattutto l’adesione di TSMC, l’azienda taiwanese che da sola controlla il 52% della produzione globale, rischia quindi di essere catastrofica per l’industria militare russa. Il settore, che aveva già dovuto fare i conti con l’attuale scarsità globale causata dalla pandemia, aveva in passato dimostrato grandi capacità di adattamento di fronte a crisi di rifornimento come questa.

L’inizio della guerra nel Donbass, nel 2014, aveva interrotto i rapporti dell’industria russa con i propri fornitori ucraini, alzando repentinamente i costi di molti progetti. È però altamente improbabile che i russi siano in grado di costruire praticamente dal nulla un’industria di semiconduttori che possa sostituire l’importazione, sia per mancanza di know-how sia a causa delle oggettive difficoltà che si incontrano nella manifattura di tecnologie così sofisticate.

Il settore della Difesa deve fare i conti con una scarsa produttività, causata da infrastrutture industriali sovietiche e con un urgente bisogno di modernizzazione, oltre che a una forza lavoro sempre più anziana e affetta da una grossa fuga di cervelli. Per evitare il collasso delle catene di produzione è probabile che le aziende russe guarderanno alla Cina, che a oggi può però offrire solo chip più rudimentali la cui integrazione nei sistemi russi richiederà tempo, soldi e parecchio caffè per gli uffici di progettazione.

In termini militari, è verosimile che la qualità dell’armamento russo ne risentirà profondamente.

Malagestione, corruzione e rigidità
A queste criticità si aggiungono problemi finanziari enormi, che l’isolamento della Russia rischia di esacerbare. Nel 2019, i debiti totali del settore della Difesa nei confronti delle banche russe raggiungevano i 2 trilioni di rubli (31 miliardi di dollari), una cifra immensa che neanche diversi round di cancellazione da parte del governo ha potuto contrastare.

L’industria è, economicamente parlando, un buco nero: non riesce a sostenersi sulle proprie gambe e genera debito nonostante un acquisto annuale di 1,5 trilioni di rubli in armi da parte delle forze armate. Le sanzioni imposte dall’Occidente contro diverse aziende renderà poi difficile tamponare queste perdite con l’export, come è stato fatto negli ultimi anni.

Questa malagestione economica è dovuta a diversi fattori: la presenza di numerosi funzionari dell’amministrazione presidenziale nei board delle grandi aziende; il riciclo assicurato di diversi funzionari dei servizi di sicurezza come manager del settore privato; l’autonomia di diverse fabbriche sparse per il Paese; la lotta da parte dei governi regionali contro la chiusura di fabbriche superflue.

E ovviamente va aggiunta una corruzione endemica. Nel 2011, il procuratore capo della giustizia militare stimava che circa il 20% del budget della Difesa venisse effettivamente rubato a diversi livelli, e la storia recente del settore è piena di enormi truffe a danni dello stato e delle truppe sul campo.

Negli ultimi anni sono state intraprese alcune misure per combattere l’inefficienza diffusa, introducendo un sistema digitale per coordinare le migliaia di industrie sparse per il Paese, ma con scarso successo.

In più, si è proceduto alla creazione di 40 conglomerati verticalmente integrati per forzare i fornitori di diversi componenti d’arma ad adottare rapporti contrattuali stabili. Eliminare qualsiasi dinamica di mercato è una scelta costosa e azzera la flessibilità di un settore già poco innovativo, aumentando però la resilienza della catena di produzione a corto termine.

Le perdite sul campo
È insomma abbastanza evidente che i sabotatori più pericolosi della produzione militare russa siano i russi stessi. Le misure prese dall’Occidente impediranno al Cremlino di poter sostituire facilmente i mezzi più avanzati persi durante la campagna e di sviluppare le armi di cui la Russia avrà bisogno nel 2030-40.

Detto questo, è difficile che le perdite inflitte dagli ucraini diano fondo a quello che rimane uno degli arsenali più grandi del mondo. I numeri, purtroppo, sono dalla parte dell’invasore, anche se la perdita di soldati ben addestrati potrebbe essere problematica nel breve periodo.

Ad oggi, le forze armate russe hanno perso circa 103 veicoli corazzati; solo nel triennio 2013-2015, l’industria russa ha prodotto 723 carri armati di tipo T-72 B3, e 20 di tipo T-14. Quel che è peggio è che l’isolamento economico della Russia non avrà verosimilmente alcun impatto sulla produzione di munizioni e di artiglieria, la spina dorsale della dottrina operativa russa.

Paradossalmente, le perdite relative più ingenti sembrano riguardare i camion di rifornimento: fra i soli 4mila ufficialmente disponibili (400 tir di diverso tonnellaggio per ognuna delle 10 brigate di supporto logistico), fonti open source indicano una perdita netta di 260 nei primi giorni di guerra. Anche questo è dovuto più a errori di pianificazione fatti dal comando russo che dalla valente difesa delle forze ucraine, e il risultato immediato sarà un rallentamento dell’offensiva più che una penuria di mezzi da combattimento e munizioni.

L’impatto politico di questo affanno operativo dipenderà dal contesto domestico e internazionale in cui il Cremlino si troverà ad agire da qui a poche settimane. Anche se il debito dell’industria militare si rivelasse insostenibile, rimane comunque valido l’insegnamento del sociologo francese Roger Callois: l’intensità e la maniera con cui un Paese conduce una guerra è sempre espressione del suo ordine sociale. E se il sistema Putin, per quanto corrotto e inefficiente, riuscirà a mantenere il controllo sulla vita pubblica della Russia, allora né la penuria di chip né il declino qualitativo delle armi impedirà la continuazione della guerra, seppur con metodi più rudimentali e sanguinosi.