«Ci sono oltre cinque milioni di persone in Ucraina, il 10%-15% della popolazione, costrette fuori di casa. Più della metà sono uscite dal Paese, ma a questo ritmo saranno 3 milioni entro un paio di giorni. Continuiamo a esser presenti sul campo e possiamo dire che ci sono al momento almeno 2 milioni di persone in movimento verso Ovest, dove i bombardamenti fra l’altro sono in crescendo minacciando anche quelle già sfollate. Un terzo dei 40 milioni di abitanti dell’Ucraina è in una situazione disperata dal punto di vista dei bisogni in conseguenza della guerra. La cosa più stupefacente è che questo quadro si è materializzato in due settimane, non in cinque anni».
Filippo Grandi, Alto commissario dell’Onu per i rifugiati, spiega al Corriere la drammatica situazione dei civili ucraini dopo l’invasione da parte della Russia. È la crisi di rifugiati più grande dalla Seconda guerra mondiale. «Sicuramente», dice. «Nei Balcani, anche sommando tutto dalla Bosnia al Kosovo, non si arrivò a queste cifre e in più successe tutto nell’arco di otto anni».
Dopo le visite alle frontiere di Polonia, Moldavia e Romania, Grandi racconta di «un fiume di persone in piena, una valanga di cui non vedi l’inizio e la fine. È una massa cupa, fatta di esseri umani traumatizzati, soprattutto dalla velocità in cui sono precipitati nella disperazione. Ti raccontano che una settimana fa la loro era una vita normale. Vengono in maggioranza dalle città, è classe media che fino all’altro giorno mandava i bambini a scuola, lavorava. Sono sotto shock. Al confine moldavo mi ha colpito molto il fatto che gli uomini ucraini accompagnano le famiglie fino alla frontiera, poi tornano indietro a combattere. Queste separazioni sono state tra le cose più terribili che abbia mai visto: si lasciano e non sanno se si rivedranno. Quelli che passano sono donne, bambini e anziani, qualche disabile».
Al momento, i rifugiati vanno verso posti dove hanno agganci di parenti e amici. Grandi ha parlato di «distribuzione naturale». «È una fortuna che gli ucraini abbiano tantissime connessioni in Europa, dove ci sono comunità ben radicate», spiega. «In questo senso il loro inserimento temporaneo è più facile, non c’è bisogno almeno per ora di grandi centri di accoglienza. Ma dobbiamo vedere come si sviluppa questo movimento. Se i russi continueranno a bombardare, specie le città, spostandosi verso Ovest come avviene in queste ore, vedremo altre ondate di persone in fuga, per esempio dalla zona di Leopoli verso la Polonia e i Paesi limitrofi».
Cosa sta facendo in queste ore l’Unhcr? «Dobbiamo restare in Ucraina finché possiamo», spiega Grandi. «Da qualche giorno siamo stati costretti a spostare il nostro quartier generale a Leopoli. Riusciamo ad aiutare le persone nell’Ucraina occidentale e siamo pronti a intervenire se si apriranno finalmente i corridoi umanitari. Abbiamo potenziato un canale logistico di trasporto dalla Polonia all’Ucraina. Ma possiamo andare solo dove c’è sicurezza. Poi abbiamo già pronti i convogli per entrare a Mariupol o nelle città assediate appena si materializzeranno i corridoi».
E sulla reazione di accoglienza dell’Europa, Grandi dice: «Sono molto contento che alla fine l’Europa abbia capito due cose. La prima è che un’emergenza rifugiati colossale, molto più grande di quella del 2015, è gestibile, cosa che l’Unhcr dice da anni. La seconda è che si può fare se gli Stati cooperano come sta accadendo adesso. Spero solo che quando questo immane disastro sarà terminato, e non so dire quando, la lezione che l’Europa ha imparato sotto la pressione dell’Ucraina verrà applicata in futuro anche in altre crisi, grandi e piccole. Questo è il modello da seguire: lavoro comune, condivisione, solidarietà. Insieme possiamo far fronte all’impossibile».
Grandi racconta però anche degli episodi di discriminazione e respingimenti di rifugiati che venivano dall’Ucraina, ma avevano la pelle scura. «Nei primi giorni ci sono stati episodi di questo genere ad alcune frontiere. Noi non abbiamo potuto esser presenti in tutte sin dall’inizio perché la crisi è precipitata in modo repentino. Ho posto molte domande soprattutto in Polonia, dove questi fatti sono stati riportati», spiega. «Credo però sia importante che il governo polacco sin dall’inizio abbia detto che non era quella la sua linea e che la decisione era di far passare tutti. Quei casi vanno condannati. È possibile anche che ci siano stati episodi in Ucraina stessa: persone di diversa etnia cui è stato impedito di salire sui treni o sui bus. Nessuna giustificazione ovviamente. Il razzismo va sempre condannato, anche in contesti così drammatici. Spero però che questa fase sia superata».
L’Alto commissario però non dimentica le altre crisi in corso. Ed è in partenza per l’Afghanistan. «È logico e giusto in questa fase concentrarsi sull’Ucraina», dice. «Ma distrarsi dagli altri fronti è il grande timore. Siamo in contatto con governi africani, con quelli di Paesi in crisi e siamo preoccupati che tutte le risorse si spostino verso l’Ucraina. Avevo programmato da tempo questo viaggio per l’Afghanistan e mi sono chiesto se fosse il caso di farlo in questo momento. Ma ho deciso di partire perché è importante dare un segno che almeno noi dell’Onu continuiamo a occuparci anche di altre crisi. C’è comprensione di questo, abbiamo parlato con i nostri interlocutori europei. Ma poi bisogna farlo perché le energie assorbite dalla crisi ucraina saranno colossali».