Una nuova parola di origine finanziaria, Greenflation, sta per entrare nel nostro linguaggio quotidiano. La impareremo a conoscere in fretta, ma già da alcuni mesi condiziona le nostre vite. L’espressione fonde i termini green e inflation (verde e inflazione) e indica l’aumento dei prezzi dei metalli e dei materiali essenziali per la produzione di energia rinnovabile, come quella solare o eolica.
Il termine ha incominciato a diffondersi quando Ruchir Sharma, importante fund manager indiano e noto editorialista del Financial Times, la usò in uno dei suoi commenti sul giornale nell’agosto del 2021. Descrisse la greenflation come il risultato involontario di un paradosso economico: «Più forte si spinge sulla transizione verso un’economia più verde, più costoso diventa il tentativo, e meno probabilità si avranno di raggiungere l’obiettivo di limitare i peggiori effetti del riscaldamento globale».
I motivi della greenflation che, uniti ora alla crisi legata all’invasione russa ai danni dell’Ucraina, spingono i prezzi verso l’alto sono due. Il primo riguarda quelle materie prime, come il rame, l’alluminio, il litio e il nichel, che sono fondamentali per la creazione della tecnologia necessaria alla transizione energetica ed ecologica, quali le batterie per auto elettriche, le pale eoliche e i pannelli solari. Questi materiali però sono scarsi e costosi da estrarre. Inoltre, sono geograficamente concentrati e non sono presenti in quelle parti del mondo che più spingono verso la transizione ecologica, come l’Occidente e la Cina. La crescente domanda ne fa aumentare i prezzi. Dagli 8mila dollari di gennaio 2021, una tonnellata di rame ha raggiunto il prezzo di 11mila dollari a marzo 2022. Il costo dell’alluminio è raddoppiato in un solo anno, raggiungendo a marzo i 4 mila dollari a tonnellata.
Il secondo motivo, legato all’attualità, riguarda lo stato non ancora maturo delle energie rinnovabili. Lo ha spiegato bene anche Isabel Schnabel, membro esecutivo del board della Banca centrale europea, quando ha detto: «Al momento le fonti rinnovabili non sono ancora in grado di produrre l’offerta di energia necessaria a soddisfare la crescente domanda. Questa insufficiente capacità produttiva delle fonti rinnovabili nel breve periodo, unita ai ridotti investimenti in combustibili fossili e all’aumento dei prezzi del carbone, indica che rischiamo di fronteggiare possibili periodi prolungati di transizione in cui le bollette energetiche aumenteranno. I prezzi del gas sono un caso emblematico».
Ci troviamo dunque in un momento intermedio: gli investimenti nei combustibili fossili sono stati ridotti per via del timore che presto la domanda di petrolio sarà molto minore; le fonti di energia rinnovabile non producono a sufficienza; i prezzi delle materie prime continuano a crescere perché la transizione ecologica coinvolge numerose nazioni e la domanda di energia è molto elevata.
La spinta governativa verso la transizione ecologica, di cui parla Sharma nella sua descrizione, è piuttosto evidente. Negli ultimi mesi, il successo del movimento giovanile ambientalista Fridays for Future e lo scoppio della pandemia hanno convinto la politica a intervenire in modo ancora più rapido. La Commissione europea ha avviato il Next Generation Eu, l’ambizioso piano di ripresa post pandemico che punta a creare un’Europa più green e sostenibile. Negli Stati uniti, il presidente Joe Biden da diversi mesi sta cercando di far approvare una legge, il Build Back Better Act, che prevede grossi investimenti in energia pulita e la riduzione dell’uso di combustibili fossili.
Una soluzione: le comunità energetiche
Nel passaggio verso metodi di produzione e consumo più sostenibili, una soluzione innovativa è rappresentata però dalle comunità energetiche, che nascono quando più utenti si uniscono e sfruttano l’energia elettrica prodotta da un impianto locale di energia rinnovabile, come i pannelli solari presenti sul tetto di case o di appartamenti limitrofi. In questo modo gli utenti non sono più consumatori passivi, ma diventano produttori attivi di energia, che può essere usata internamente, scambiata con gli altri utenti o venduta al gestore della rete nazionale.
Secondo Alberto Borghetti, professore di ingegneria energetica all’Università di Bologna, «le comunità energetiche sono un ottimo modo per favorire la transizione ecologica. Sono un meccanismo che, anche senza incentivi specifici, può rendere conveniente per gli utenti finali l’installazione di impianti di energia da fonte rinnovabile. Anche perché esse offrono la possibilità di transazioni di energia dirette fra gli utenti finali: un funzionamento che in inglese viene definito peer to peer».
Un ostacolo alle comunità energetiche è però rappresentato dalle norme. «In Italia», continua Alberto Borghetti, «non è consentita la transazione diretta di energia fra i partecipanti ma si cerca di emulare i benefici mediante incentivi sull’energia condivisa. I regolamenti sono comunque in fase di evoluzione».
Tuttavia, le comunità energetiche in Italia esistono da parecchi anni e sfruttano soprattutto l’energia idroelettrica, cosa che però ha limitato le comunità a particolari luoghi geografici. Negli ultimi anni, invece, tecnologie come i pannelli fotovoltaici hanno permesso lo sviluppo di comunità energetiche anche in altri luoghi. A Melpignano, in provincia di Lecce, dal 2011 sono stati installati pannelli fotovoltaici sui tetti degli edifici pubblici e privati per rifornire energia al paese. Le comunità, però, possono essere anche di dimensioni inferiori, come nel caso di singoli condomini.
Le modifiche normative possono rendere ancora più diffuse le comunità energetiche anche perché la transizione ecologica è un processo fondamentale per il futuro della nostra società e risposte dal basso di questo tipo possono contribuire in modo decisivo al miglioramento delle condizioni ambientali.