La storia si ripeteIl pacifismo radicale e gli errori del passato che non dobbiamo commettere più

Chi sostiene che Putin sia colpevole tanto quanto la Nato e gli Stati Uniti per la crisi ucraina dimostra di non aver imparato nulla dalla Seconda guerra mondiale. Anche allora le società democratiche non vollero vedere e adottarono a una serie di compromessi che si rivelarono catastrofici

AP/Lapresse

Il professor Antonello Ciccozzi, docente associato in Discipline demo-etno-antropologiche presso l’università dell’Aquila, sembra un ottimo esempio per spiegare le ragioni e le contraddizioni di ciò che chiamiamo pacifismo radicale, una vasta galassia coi suoi miti e i suoi slogan che abbiamo visto sfilare per tanti anni sempre contro le guerre dell’Occidente.

Peraltro, non ho memoria di grandi manifestazioni di segno contrario, dalla Cecoslavacchia nel ’68 alla Polonia nel ‘70 e nell’81, fino a Kabul nel ’79. Oggi siamo al paradosso delle piazze che inveiscono contro la Nato, che non ha mai invaso alcun Paese, e sorvolano sull’aggressione russa.

In un’intervista rilasciata a Selvaggia Lucarelli su Radio Capital, Ciccozzi ha avuto modo di esprimere il suo pensiero sul presente. Dice che il vero pericolo oggi non è Putin che, secondo lui, non sta usando i profughi per bombardare l’Europa. Bombardare è un mezzo, è strategia militare. Il vero pericolo sarebbe «il suo antagonista Zelensky», che Ciccozzi raffigura come il simbolo di un «pacifismo interventista che sventola la bandiera di un nazionalismo che rimanda a un’idea identitaria del confine che è quella che ha portato guai in Europa nel secolo scorso e di cui ci dovremmo liberare».

Lungi da me l’idea di avventurarmi nella complessità della geopolitica, ma ho avuto modo di leggere i libri del professore e valutare la sua attività di consulente della Pubblica accusa nel processo sulla tragedia del Terremoto dell’Aquila – che ha riassunto nel libro “Parola di scienza. Il terremoto dell’Aquila e la Commissione Grandi Rischi. Un’analisi antropologica”.

Nel libro ha avuto modo di spiegare, con una certa coerenza, che la vera colpa dei 309 morti del terremoto era dei membri scientifici della commissione che l’allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso portò nel capoluogo abruzzese con lo scopo di rassicurare la popolazione colpita da una lunga serie di sciami sismici.

Ciccozzi diede copertura scientifica alle tesi dell’accusa addebitando una condotta “rassicurazionista” agli esperti della Commissione, che a suo dire non erano stati abbastanza allarmisti pur convenendo che i terremoti non siano prevedibili (infatti prima di quello del 2009 la precedente catastrofe sismica in zona era avvenuta 400 anni prima).

Un libro interessante e istruttivo che mi ha portato a studiare da vicino il cosiddetto principio di precauzione, elaborazione giuridica assai intricata mediante la quale una certa dottrina catastrofista originatasi in particolare sulla scia dei tragici eventi dell’11 settembre ha posto l’obbligo penale, per politica e scienza, di prevenire ogni genere di calamità, prevista ma anche imprevedibile.

Secondo tale corrente di pensiero l’umanità, per evitare le grandi sciagure – belliche, naturali, epidemiologiche – ha l’obbligo di immaginare il peggio, quasi un commosso tributo alla famosa legge di Murphy: dal nome del suo inventore, un ingegnere missilistico americano secondo cui «se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo». Infatti Ciccozzi ha ritenuto troppo blande le misure di prevenzione del Covid.

Ebbene, il fil rouge che sembra tenere insieme i vari momenti pacifisti nostrani sembra proprio quello di rimproverare all’Occidente un eccesso di trionfalismo rassicurazionista, di aver spacciato la favola della fine della Storia, della pax americana, e di non aver immaginato, anzi previsto la logica militare (o come direbbe il professor Ciccozzi «la strategia») per la quale un dittatore ex Kgb avrebbe invaso un Paese limitrofo anche etnicamente.

In filigrana la tesi è che dunque le colpe di Russia e Occidente si equivalgano.

Il rassicurazionismo non ha alcun fondamento scientifico, al pari degli eccessi originati dalla maniacale applicazione del principio di precauzione. È invece provato che la mente umana – a partire dagli studi del premio Nobel Daniel Kanheman – tende a ripetere gli stessi errori sotto forma di bias, di fallacie argomentative apparentemente logiche che in realtà sono reazioni cognitive istintive e fuorvianti.

Il rimedio a questo tipo di errori è l’osservazione empirica, la statistica delle ripetizioni meccaniche ed errate, da cui trarre gli opportuni insegnamenti. Ad esempio cessare di credere nella fallacia pacifista che non ha mai evitato le guerre, come tutte le fedi irrazionali serve a lenire e sperare, ma non a risolvere.

Quello che noi stiamo vedendo oggi lo ha visto l’Europa un secolo fa, quando la Germania umiliata dalla Prima guerra mondiale e dalle sanzioni inflitte dai vincitori fu marginalizzata e messa al bando. Del risentimento del popolo tedesco Hitler fece la leva formidabile di una politica estera aggressiva, fino alla guerra che le democrazie non vollero accettare, come gran parte dell’opinione pubblica ha negato a se stessa l’invasione dell’Ucraina sino all’ultimo – invasione invece data per certa da inglesi e americani, i guerrafondai di oggi.

La Seconda guerra mondiale fu preceduta dal conflitto civile spagnolo, ma le società democratiche non vollero vedere. E spinte dalla comprensibile voglia di pace dei propri popoli si adattarono a una serie di compromessi che portarono allo smembramento della Cecoslovacchia per favorire il ritorno alla madrepatria della minoranza tedesca dei Sudeti, a detta del Fürher vittima di genocidio (ricorda qualcosa? Il Donbass?).

L’unica voce dissonante era quella di un eccentrico politico inglese, affetto da sindrome bipolare, con tendenza ad alzare il gomito: solo lui ebbe il coraggio di dire a un’opinione pubblica entusiasta per il vergognoso Trattato di Monaco che il leader Neville Chamberlain tra il disonore e la guerra aveva scelto inutilmente il primo e avrebbe avuto comunque la seconda.

Del resto perché un criminale che ha messo una pistola sul tavolo dovrebbe riporla senza scopo quando ha constatato di incutere terrore paralizzante? Il resto è storia nota. A partire dal fatto che comincia a serpeggiare una certa sensazione di insofferenza per le ragioni dei deboli (ma perché continuano a combattere e non si arrendono che così la finiamo?). Non è rassicurante, lo ammetto, ma è storia, appunto.

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