Compie trent’anni la gestione de Il Saggiatore a opera di Luca Formenton. Una casa editrice con alle spalle almeno altrettanti anni di impegno culturale e successi, tutti maturati in casa Mondadori.
«Metaforicamente parlando» – afferma Formenton parlando con Linkiesta – «potrei dire che Il Saggiatore è come i gatti: ha avuto nove vite. C’è stata la parte iniziale, quella fondata da mio zio Alberto Mondadori nel 1958, e che arriva fino al 1969. Poi, c’è stato il periodo in cui era diventata una collana della Mondadori. E, infine, dal 1992 c’è la mia gestione. Il fil rouge, però, è sempre stato quello di guardare verso il futuro conservando la propria memoria».
Tra i pilastri del manifesto della casa editrice ce n’è uno che recita: «L’editoria si divide tra chi costruisce libri e chi li subisce dal mercato».
Giulio Einaudi diceva che esiste «un’editoria del sì e un’editoria del no». Ecco, noi progettiamo un libro occupandoci di contemporaneità e non di attualità, con l’obiettivo di creare un’architettura complessa come un grande catalogo. Per questo motivo prestiamo molta attenzione alla qualità del libro in tutti i suoi aspetti. Abbiamo un approccio quasi artigianale al lavoro.
La parte più difficile è quella, però, della conquista di nuovi lettori. Un equilibrio delicatissimo tra qualità e marketing?
Non serve abbassare i prezzi o i contenuti – bisogna andare verso una lunga e paziente opera di acclimatazione al mondo del libro coinvolgendo le scuole e i ragazzi. In Italia ci sono tante scuole di scrittura ma mancano le scuole di lettura. Personalmente, poi, sono dell’idea che quando si possiede un’azienda bisogna circondarsi di collaboratori migliori di sé che sappiamo intercettare anche un pubblico diverso.
E come spiega il periodico de profundis del libro cartaceo?
È soltanto un vezzo. Le rispondo come avrebbe risposto mio nonno Arnoldo Mondadori: “la crisi del libro me la butto dietro alle spalle.
Il Saggiatore ha le sue radici a Milano. Una città che ha avuto un prima e un dopo pandemia.
Fino al 2020 la città ha avuto uno sviluppo notevole sotto ogni punto di vista. Economico, culturale e sociale, anche se siamo ancora indietro rispetto al resto dell’Europa. Dopo la pandemia sembra che non si sia ancora del tutto ripresa. Ci sono problemi che prima o poi andranno affrontati con l’obiettivo di risolverli. Un esempio sono le periferie. Le librerie di quartiere possono avere un ruolo importante diventando nuovi luoghi di associazione delle comunità. E noi, in quanto rappresentanti dell’industria culturale, dobbiamo contribuire attivamente a tutto questo.
Al Master dell’editoria, dove insegno, mi capita spesso di consigliare i miei studenti che hanno voglia di intraprendere questa strada. Se si ha la passione e non si pensa al guadagno, l’editoria è un mondo meraviglioso, a cominciare dal rapporto diretto con gli autori, cosa spesso difficile per i grandi gruppi. L’importante è non andare alla ricerca spasmodica del bestseller, anche perché il bestseller di per sé è imponderabile. Noi, ad esempio, raccogliamo e offriamo solo libri che riteniamo possano meritare di durare.
Ci dica un’ultima cosa, quale libro della sua casa editrice consiglierebbe a un nuovo lettore che le chiedesse un suggerimento?
Suggerirei “Il libro dell’incontro”. Raccoglie una serie di incontri fra ex terroristi e parenti delle vittime. È un tentativo di riconciliazione degli anni settanta. Non si può avere una memoria condivisa, ma bisogna condividere la memoria. Lo ritengo uno dei libri più importanti perché ci aiuta a capire cosa è stata l’Italia e come potrebbe essere il futuro. Ora più che mai.