«Marco Biagi sottolineava sempre la necessità di modernizzare il lavoro, la sua cultura e i suoi significati. A questo aggiungeva una virtù fondamentale: non negava la realtà, non si girava dall’altra parte. Purtroppo l’onestà intellettuale in questo Paese è spesso sconveniente, ma dobbiamo riconoscere quanto le sue idee siano ancora fondamentali». Le parole sono di Marco Bentivogli, coordinatore e fondatore di Base Italia, ex segretario generale della Federazione Italiana Metalmeccanici.
Bentivogli è intervenuto durante l’iniziativa “Il Riformismo per la dignità del lavoro”, un incontro organizzato proprio da Base Italia in occasione del ventesimo anniversario dell’uccisione di Marco Biagi.
A Palazzo d’Accursio, storica sede dell’amministrazione del Comune di Bologna, al tavolo con Bentivogli c’è il sindaco di Bologna Matteo Lepore, il giuslavorista Giuliano Cazzola, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Bruno Tabacci e l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi. A moderare l’incontro è la professoressa Alessandra Servidori.
Bentivogli da anni semina nel tracciato di Marco Biagi, ne segue le orme e le idee: «Biagi era un innovatore, un riformista, un indipendente, un uomo del dialogo. Una persona che ha speso la propria vita per il lavoro», dice il coordinatore di Base Italia. «Con la pandemia abbiamo visto quanto è importante per un Paese rafforzare le tutele dei contratti non standard, di partite Iva e precari. Sono tutte battaglie che ha voluto condurre Marco Biagi, mentre in Italia per anni ci siamo concentrati solo su chi era già protetto da tutele di ogni tipo».
È evidente che oggi i nodi del lavoro siano ancora più stretti in Italia, in un Paese con 4 milioni di Neet, con una scarsa attrattività per i giovani – infatti parliamo di fuga di cervelli – e si lavora con orari lunghissimi e salari mediamente bassi. «Il lavoro deve servire per il benessere della persona, non il contrario, Marco Biagi lo aveva intuito e non è stato capito. Qualcosa non ha funzionato e dobbiamo riconoscerlo prima di peggiorare la situazione», aggiunge Bentivogli.
Aprendo l’incontro, la professoressa Alessandra Servidore ha ricordato come Biagi stesse «da una parte sola, dalla parte del lavoro, ed era capace di guardare in prospettiva: già lavorava con uno sguardo alla sostenibilità, alla comunità lavorativa, al futuro».
Prima di passare la parola tavolo, è intervenuto il cardinale Matteo Zuppi, in un videomessaggio: «Il miglior ricordo che possiamo avere di Marco Biagi è che non dovremmo mai accettare una contrapposizione di pensiero che non sia accompagnata anche dal dialogo, dal confronto, dall’incontro tra le parti, perché si inizia nella scelta stessa del linguaggio a costruire delle relazioni. Biagi aveva l’ambizione di creare diritti possibili e sostenibili, quindi diritti che non vengano svuotati dalla pratica, ma che siano tali nella pratica».
A fare gli onori di casa è il sindaco di Bologna Matteo Lepore: «Bologna è una città che non dimentica le persone, quelle che ci sono e quelle che c’erano. Non dimentica quello che hanno fatto, perché è una città che ha sofferto moltissimo per attentati, stragi e altri fatti di cronaca. E Bologna può e deve essere la città che contrasta il pensiero corto di questo Paese».
Presente all’incontro anche il sindacalista Giuliano Cazzola, amico e collega di Biagi: «In questi giorni mi hanno chiesto se dopo vent’anni il pensiero di Marco Biagi sia ancora attuale: la risposta è sì, anche se nel frattempo il lavoro è cambiato moltissimo. Perché se è vero che c’è una certa precarietà nel lavoro, è lì che dobbiamo portare regole e diritti. E oggi voglio ricordare che Biagi credeva nella flessibilità del lavoro, credeva nelle politiche attive: noi oggi invece abbiamo un sistema che rafforza la cassa integrazione cercando di tenere il lavoratore attaccato all’azienda anche se questa sta per morire. Marco pubblicò sul Sole 24 Ore un articolo che è stato titolato con “licenziare per assumere”, che sembra un pugno nell’occhio, ma quello che è successo con la crisi degli ultimi anni ci ricorda che i posti di lavoro si possono perdere anche con un blocco dei licenziamenti se poi nessuno può e vuole assumere».
Il pensiero di Biagi, infatti, già vent’anni fa, anticipava il dibattito sulla flessibilità e sulla precarietà a cui stiamo assistendo oggi. In un mondo in cui la maggior parte delle opportunità sono globali e difficili da affrontare, riprendere le idee di Marco Biagi può essere una bussola. Lo ha ricordato anche il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Bruno Tabacci: «Biagi è stato un anticipatore su molti temi, dalla riforma del Titolo V della Costituzione che aveva portato dei contrasti enormi tra Stato e Regioni, alla concorrenza e alle questioni sui conflitti d’interesse. Lo accompagnava però sempre quell’ostilità artificiosa che proveniva da alcuni ambienti sindacali, solo perché voleva regolamentare la flessibilità del mercato del lavoro. Ma lui non l’aveva inventata la flessibilità, l’aveva intuita. Aveva letto la globalizzazione del lavoro e l’evoluzione che sarebbe arrivata».
A chiudere l’incontro l’intervento dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, che con Marco Biagi condivideva lo spirito europeista e innovatore: «Certamente la storia sta dando ragione a Marco Biagi. Lui aveva capito che eravamo di fronte a un cambiamento radicale del mondo del lavoro e che chiuderlo in una scatola sola è il massimo errore, quello commesso da chi lo criticava: standardizzare il mondo del lavoro poteva andar bene un secolo fa, oggi giorno dopo giorno ha sempre meno senso».