Una lezione a chi tergiversa, a chi esita, a chi, dietro la scusa di “voler capire”, non si schiera. Si può leggere così il messaggio che ieri Sergio Mattarella ha inviato al congresso dell’Anpi, un messaggio sobrio ma non casualmente molto forte, non casualmente – diciamo – perché da tempo la gloriosa associazione dei partigiani si è schierata su posizioni di sinistra radicale e pertanto, nel contesto attuale, nel riflusso neutralista.
Forse per questo Mattarella, pur certamente lontanissimo dalle polemiche, è stato così netto: «L’ingiustificabile aggressione al popolo ucraino di cui si è resa responsabile la Federazione russa ha fatto ripiombare il Continente europeo in un tempo di stragi, di distruzioni, di esodi forzati che fermamente intendevamo non avessero più a riprodursi dopo le tragiche vicende della Seconda guerra mondiale. Sono i valori della Resistenza che, ancora una volta, ci interrogano. In Ucraina e in tutta Europa».
Nomi e cognomi: la Russia è colpevole, l’Ucraina la vittima. Punto. Altro che “capire meglio”: che c’è da capire? Stabilito questo, il Presidente della Repubblica connette la Resistenza ucraina a quella nata durante la Seconda guerra mondiale. La Resistenza dei partigiani che volevano il ritorno alla democrazia. «Il bersaglio della guerra non è soltanto la pretesa di sottomettere un Paese indipendente quale è l’Ucraina – scrive ancora il Presidente della Repubblica – l’attacco colpisce le fondamenta della democrazia, rigenerata dalla lotta al nazifascismo, dall’affermazione dei valori della Liberazione combattuta dai movimenti europei di Resistenza, rinsaldata dalle Costituzioni che hanno posto la libertà e i diritti inviolabili dell’uomo alle fondamenta della nostra convivenza».
L’attacco russo non è dunque solo a un Paese sovrano ma alla democrazia, alla “nostra” democrazia: non è, in fondo, quello che da un mese grida Zelensky? Altro che «aprire una grande dibattito nel Paese», come disse il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo alla manifestazione pacifista-neutralista di San Giovanni del 5 marzo: Mattarella, recuperando nitidamente il nesso tra difesa dall’invasore e diritti inviolabili dell’uomo, a partire dalla cornice democratica che li garantisce, non si è trincerato nei vacui e vaghi appelli alla pace ma si è autorevolmente collegato al grande filone del cattolicesimo politico democratico che non alza bandiera bianca ma partecipa attivamente alla difesa della vita umana e della dignità dei popoli.
Ecco perché nel suo messaggio ai partigiani il Capo dello Stato evoca quella «solidarietà attiva con chi sta resistendo» che poi è il punto caratterizzante l’impegno dei cattolici democratici e antifascisti, qui e ora come lo fu tra le due guerre (non senza contraddizioni e durissime polemiche) e durante la lotta di Liberazione nazionale.
Non si tratta di affermare i contenuti della “guerra giusta”, categoria scivolosa entro la quale di tutto può trovarsi – a seconda di chi la brandisca – ma della difesa del diritto a difendersi, in tutti i modi. E questo non è un diritto “freddo” ma intriso, per il cattolico, di moralità nel nome della umanità e della pace, quando essa non sia presupposto ma, come nel caso presente, obiettivo.
Messo così a fuoco, il tema della difesa, contenuto nel messaggio di Mattarella all’Anpi, è addirittura la premessa per la costruzione di un ordine fondato sulla pace: per questo la discussione sugli armamenti militari può essere sul “come” più che sul “se”, perché la necessità della difesa è precondizione per un assetto mondiale diverso. E non a caso questo è un dei punti essenziali del discorso pubblico e delle decisioni politiche che però, nel dibattito nostrano, è diventato come al solito questione ideologica e di bandierine con il folle rischio (alimentato da Giuseppe Conte nell’intervista di ieri alla Stampa) di una possibile crisi di governo proprio su questo punto.
Ma per fortuna le forze più responsabili stanno disinnescando la mina e hanno convenuto che è meglio evitare votazioni parlamentari. Per fortuna dal messaggio del Presidente dunque è giunto un segnale forte e senza incertezze su dove sta l’Italia, con i suoi valori di ieri e di oggi, e chi vuol intendere intenda.