L’avanzata dell’esercito russo sembrava inarrestabile, la resistenza ucraina pareva destinata a cedere in poche ore. Invece a cinque giorni dall’inizio dell’invasione lo scenario è molto diverso: l’offensiva russa è stata insospettabilmente scoordinata, sicuramente meno efficace del previsto.
L’attacco respinto a Kharkiv, le incertezze nei combattimenti urbani, le immagini dei carri armati fermati dai cittadini ucraini o a secco di carburante. Tutto ha fatto pensare a grossi errori di valutazione da parte del Cremlino e dei suoi apparati militari.
«Abbiamo catturato circa 200 soldati russi, molti dei quali hanno sui 19 anni. Sono mal equipaggiati e non addestrati: abbiamo loro permesso di telefonare a casa, le famiglie sono molto sorprese». Sono parole di Borys Kremenetskyla, generale maggiore dell’esercito ucraino.
Quella che si preannunciava come una guerra lampo sta diventando un enigma da risolvere una mossa alla volta. Gli sviluppi del conflitto portano con sé altre complicazioni per Mosca: le manifestazioni dei cittadini russi – presto fermate dalla polizia, che ha già arrestato circa 6mila persone – e il malcontento degli oligarchi, che eviterebbero volentieri sanzioni e altre complicazioni economiche, allontana sempre più il Cremlino dal resto del Paese.
Negli ultimi giorni si è visto un Vladimir Putin isolato, meditabondo, distaccato dalla realtà. Sembra distante anche dai suoi uomini più fedeli, almeno nelle immagini che sono arrivate a tutti.
È per questo che gli sviluppi del conflitto si prestano a una riflessione sulla sua successione. Putin può rimanere al potere potenzialmente fino al 2036. Ma si tratta di un uomo di 70 anni, circondato da persone della sua stessa generazione, e impegnato in azioni che guardano al lungo periodo più che all’amministrazione quotidiana di uno Stato – muovere guerra in quello che considera il suo giardino di casa, ad esempio.
«Il fatto che Putin possa ricandidarsi altre due volte e arrivare fino al 2036 è in realtà una foglia di fico, un modo per rinviare il discorso o quanto meno per non renderlo pubblico», dice a Linkiesta Pietro Figuera, analista geopolitico, fondatore di Osservatorio Russia.
I nomi che circolano per la successione di Putin sembrano oggi comunque piuttosto deboli: sono quelli del ministro della Difesa Sergei Shoigu, quello dell’ex primo ministro Dmitry Medvedev, il sindaco di Mosca Sergei Sobyanin. «L’impressione è anche che Putin sia spinto dai suoi stessi sodali a proseguire finché può, perché la sua successione aprirebbe un vuoto difficilmente colmabile», aggiunge Figuera.
In un Paese in cui la politica non esiste più da diversi anni – figurarsi l’impalcatura democratica – non ci sono nemmeno gli strumenti per ipotizzare una successione.
Negli ultimi anni la Russia ha gettato le basi per alimentare una finzione democratica in ogni caso possibile, ad esempio svuotando di senso una Duma – le cui elezioni sono un semplice esercizio di cosmetica politica e i suoi poteri si riducono alla mera esecuzione dei dettami dell’uomo forte.
A questo va aggiunta l’assenza di un’opposizione in grado di imporre un cambio di rotta, come spiega a Linkiesta Serena Giusti, Senior Associate Research Fellow per Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’Ispi: «L’opposizione politica è affidata a figure come Alexei Navalny e altri uomini che però vengono immediatamente neutralizzati, per cui non può esserci una risposta politicamente strutturata e organizzata: difficile uscire dalla cerchia di nomi che ruotano attorno al regime di Putin».
Per questo l’opzione più verosimile è che Putin vada a designare un suo delfino, magari tenendo le redini da dietro le quinte come aveva fatto durante il quadriennato di Medvedev tra il 2008 e il 2012.
Insomma, immaginare un crollo dell’attuale sistema di potere solo a causa dell’uscita di scena di Putin è quanto meno ottimista.
Dopotutto è logico pensare che Putin voglia replicare uno schema che ha funzionato per lui in passato, e che potrebbe funzionare per il suo successore. Molto probabilmente vorrà compiere questo passaggio di testimone quando è ancora saldamente al potere, quindi ben prima del 2036, per garantire continuità e una transizione di potere morbida, sfumata. Un modo per tenere in vita il putinismo dopo Putin.
Ma un esito disastroso dell’invasione in Ucraina, come detto, potrebbe sparigliare le carte sul tavolo. La Russia non può permettersi di insistere in un conflitto lungo e logorante, e il malcontento crescente di questi giorni è un segnale. «Un conflitto che duri troppo a lungo avrà delle ripercussioni interne, anche tra i suoi stretti collaboratori. Il ministro degli Esteri Lavrov, ad esempio, non condivide tutte le idee di Putin su questa guerra», dice Serena Giusti.
Nelle prime ventiquattro ore dopo l’invasione, i 22 uomini più ricchi della Russia hanno perso 39 miliardi di dollari, solo per fare un esempio, e con il passare dei giorni gli indici di borsa sembrano portare solo a nuove perdite. Poi si inizieranno a sentire gli effetti delle sanzioni europee.
Sembra la sceneggiatura perfetta per arrivare a una pugnalata alle spalle, un regicidio. Come ha scritto Anna Zafesova sulla Stampa, «la Russia, comunista come zarista, ha una ricca tradizione di colpi di palazzo, e la distanza che Putin mette tra sé e i suoi interlocutori potrebbe non essere dettata soltanto dalla fobia del Covid». Tuttavia, «il background di questi oligarchi di Stato, più cortigiani che politici – scrive Zafesova – rende più difficile ricorrere a queste soluzioni. Ma è anche vero che la maggior parte di loro non è pronta a morire nel bunker».
Allora in caso di mossa sovversiva, o in caso di un sia Putin a designare un suo delfino, sia in caso di mossa sovversiva, ipotizzare come soluzione un cambio al vertice vuol immaginare ancora una Russia guidata da una figura improbabile, con una cultura politica quantomeno vicina a quella del regime attuale.
L’opzione di una rivoluzione che ribalti il sistema di potere putiniano e favorisca una transizione democratica rimane sullo sfondo. Almeno per il momento.